giovedì 24 aprile 2008

Cosa significa essere italo-somali? Cosa significa sentirsi italo somali? Cosa s'intende con questa definizione? I sentimenti, il pensiero, il punto d

Gianni: Chi non fosse italosomalo, potrebbe pensare che la domanda sia insignificante, di poca attrattiva e passionalità. Non è così in realtà. Uso un banale esempio stradale. E' difficile, si pensa, viaggiare -"tutta la vita"- nella corsia di mezzo senza nessuna possibilità di portarsi nella corsia di sorpasso o di marcia normale, "gli altri" continuano a lampeggiare e suonare il clacson, sempre. Ci sarà, sempre e comunque, chi ti ricorderà che tu non SEI nella corsia giusta…Lo pensano gli altri tutto ciò senza tenere conto del pensiero del tipo in mezzo alla corsia. E' un grave errore culturale. Il confronto fra culture é una questione complessa, cosa peggiore è addiritura chi cultura propria non ne ha.
Sono moltissime le argomentazioni per aprire un dibattito sul tema. Entriamo brevemente nel merito cominciando da quanto e stato generato dal colonialismo (qualunque esso sia), i problemi del tema “ibridità”, creolizzazione, meticciato, contaminazione, incroci e identità. Dal punto di vista di entrare nel merito della questione ovviamente prevale la singola storia d'ognuno, i suoi ricordi, la sua famiglia(?) qualcuno neanche questi esempi.
Uno parla bene anzi benissimo una lingua, sicuramente qualche genio farà pesare questa conoscenza, diversamente uno non parla o non capisce un altra lingua del suo "io" e altri faranno notare l’anomalia della tua “non conoscenza”. E' un esempio banale ma continuamo.
Sei stato allevato in una religione che un tuo genitore non condivide e t'accorgi che sei differente perché i tuoi parenti ti danno una padella tutta tua per non far contaminare le loro stoviglie dalla tua fettina di maiale o di prosciutto. Sei più chiaro di carnagione da coloro che ti circondano nella vita quotidiana, dunque, automaticamente sei anomalo. Non è che dall'altra parte stai meglio, sei più scuro e i conti nuovamente non tornano perché automaticamente sei anomalo. C'è sempre al dunque qualcosa fuori posto, in ogni modo vada la situazione contigente. Il destino ci ha assegnato un ruolo di perenne disordine, non noioso certamente.
Di per se questa è la nota giusta della vicenda, il disordine dell'ordine.
Letta così superficialmente, essere italo-somalo, potrebbe e può sembrare una serie infinita di fraintendimenti anche buffi. Non è così. Si agitano e diventano presenti due identità contrapposte e agli antipodi, mediare fra le due identità è un lavoro. In psicologia esiste una patologia della psiche conosciuta come sindrome della doppia personalità, vale a dire in un unico individuo possono esistere raggruppamenti psichici, in grado di mantenersi relativamente indipendenti tra loro, di "ignorarsi" a vicenda, i quali possono provocare una "scissione" della personalità lungo linee da loro fissati, le persone "comuni" usano lo sdoppiamento, più o meno patologico, come rimedio per scappare da una realtà arida e soffocante e dai labili punti di riferimento. Nel nostro caso - normalmente senza patologia psicologica -, consciamente dobbiamo ricorrere alla doppia identità. Assumiamo l'identità consona ai nostri interlocutori sia che essi sono somali o italiani e, con tutti gli altri siamo delle normalissime persone con una propria identità. Questo cambio d'identità subentra con naturalezza non per necessità opportunistica o ha finalità diverse. Il nostro essere italosomali deriva da un unicum universale che non ha simili né eguali nel mondo, è il risultato della sommatoria dell'ambiente sociale in cui siamo nati e cresciuti.
La società somala è patronimica perciò un figlio appartiene al "qabil clan" del padre al suo "rer", "laf", "tool" ecc, dunque noi non apparteniamo ai clan/tribù somale in quanto figli di padri italiani, inversamente in Italia siamo considerati degli "oriundi", dunque cittadini italiani per nazionalità o documenti ma mai "considerati" del tutto italiani. Questo capita esclusivamente agli italosomali e non ai francocamerunensi, agli angloghanesi, ai germanoturchi o qualunque altro tipo di meticci. Non c'è per nessuno di questi meticciati un background culturale così complesso, codificato comportamentalmente, variegato e diversificato come capita solo a noi italosomali.
Alla fine tuttavia rimane la fragilità degli esseri umani e, al dunque, bisogna avere un carattere ed una tempra fuori dell'ordinario per gestire le avversità che "gli altri" cercano di evidenziare con la nostra "presunta diversità" non pensando invece alla nostra ricchezza.
Questa “presunta diversità” è un valore aggiunto che rende più forti o molto più deboli - fattore che molti non hanno compreso appieno - . In questo mio scritto vorrei citare affettuosamente i più fragili ed esposti perché fra costoro, ho perso molti fratelli, sorelle, amici, amiche in modo tragico. Si erano rifugiati nell'alcool, si sono uccisi e si stanno uccidendo, si sono alienati dalla loro mente impazzendo, si sono lasciati andare alla deriva dai loro corpi riducendosi a barboni e, molti hanno tutt'ora incubi ricorrenti e angoscianti attinenti le loro infelici infanzie, anche se hanno superato il mezzo secolo di vita:
forse ciò perché qualcuno aveva prospettato, a questi amici/amiche, una vita differente, serena, pacifica, tranquilla, senza problemi. Forse perché non avevano un ego forte, in quanto, strappati agli affetti materni e buttati in un collegio fin dalla loro infanzia. Perché nel cammino della vita venivano a mancare le certezze e aumentavano i dubbi. Pensavano d'essere Tizio e invece erano Caio; forse, forse, forse…… Sicuramente, con tanti forse, l'unica certezza è che sono stati traditi.
Il tema e l'argomento hanno contenuti forti e l'ho voluto affrontare con altri, trovando conferme, certezze e testimonianze (al momento è tutta femminile) di giovani italo-somali. Nel frattempo gli italosomali sono stati affiancati dagli "somalitalo"(fatto positivo), l'evoluzione inversa.
Quest'ultimi, affrontano anch'essi in maniera prepotente lo stesso pensiero: persone divise e diverse ma … con una prospettiva differente ma, egualmente da considerare e capire.
Di quanto sto scrivendo conta sopratutto l'età delle persone per comprendere l'io dell'italo-somalo, un tempo che abbraccia periodi ed epoche diverse, situazioni storiche, periodo coloniale, post-coloniale. E' ovvio che forme pesanti d'inquinamento razzista messe in atto, e diffuse dalla propaganda coloniale liberale del primo periodo, con prassi e con comportamenti 'immaginari' dei coloni e degli amministratori, così come degli italiani in patria, i pochissimi bimbi italosomali dell'epoca dovevano necessariamente avere una forte tempra. Il fascismo, in seguito, aveva istituzionalizzato il più grande progetto di discriminazione razziale mai messo in atto in una colonia, e l'antropologo L. Cipriani ne era l'ideologo più autorevole. Cipriani, sottolineava la simbiosi tra antropologia e prassi politica razzista all'indomani della proclamazione dell'impero, pubblicando sul Corriere della Sera un articolo dall'inequivocabile titolo "L'antropologia in difesa dell'impero" (16 giugno 1936). Nel 1937, il regime fascista diede l'ordine di "combattere l'ibridismo di razza facendo apparire come inferiori fisicamente e moralmente le razze di colore" ovviamente anche gli ibridi generati da costoro. Infine, Lidio Cipriani, uno dei tanti firmatari del Manifesto della razza del 1938, cercò di dimostrare, nella lotta contro il madamato, come i meticci fossero inevitabilmente predisposti alla degenerazione, e che dunque fosse necessario salvaguardare il prestigio della razza latina e fascista. Ebbene quelle generazioni di italosomali non può pensare come la mia generazione degli anni cinquanta o dell'era AFIS o quella post indipendenza della Somalia, quello che conta è l'età dei soggetti e il contesto in cui si sono vissuti. E' complesso.
C.A.F.: Il primo pensiero che mi viene in mente quando penso all'essere italo-somala, è un vago ricordo che riemerge dall'infanzia. La sensazione continua a dover spiegare una parola, un atteggiamento e la consapevolezza che quella parola e quell'atteggiamento sarebbero state da tutti collegate alla mia parte "altra". Sarebbe stato bello che le stranezze peculiari a me, come a tutti gli esseri viventi, fossero state attribuite più ad un capriccio personale che al sangue di tuo padre o di tua madre. Così (dicevo) ricordo questa cosa buffa, mi guardavo allo specchio e pensavo "Chissà come ci si deve sentire ad essere tutta bianca o tutta nera?!". Tutto ciò pensavo, ma senza angustia e con gran leggerezza, perché in realtà mimetizzarsi ed avere una giustificazione bella e pronta, il più delle volte poteva risultare assai comodo! Come nel seguire certi precetti religiosi noiosi: avevi la mamma bianca che non ti aveva insegnato come si deve stare al mondo, quindi eri esonerata, grazie a Dio (Allah). Salvo poi passare la notte ad arrovellarsi per i sensi di colpa, sognando alternativamente prima l'inferno cattolico che, se pur temibile, prevedeva l'esistenza di un purgatorio, poi il naar, il fuoco eterno islamico.
Questi ragionamenti riguardano più l'essere ibrido in generale, condizione che il più delle volte, se anche vissuta con difficoltà nell'infanzia, diventa nell'età adulta una possibilità metamorfica, un farsi ponte, mediatore, decifratore dei misteri di due mondi.
Veniamo ora alle caratteristiche peculiari delle nostre due culture d'appartenenza, quella somala e quella italiana. L'italiana. Credo, soprattutto, di essere impregnata della sfera femminile di mia madre (italiana). Il mio desiderio pungente di proteggerla dal mondo esterno, di farla accettare dalle donne somale con cui non è mai stata in grado di comunicare. Credo che in questa re-invenzione della sua figura stia l'essenza prima delle mie caratteristiche femminili, la precisione, il pudore cattolico da una parte e dall'altra l'esuberanza e la passionalità delle sorelle di mio padre. Così ho tenuto in serbo una gran riservatezza. Mitigata fortemente dal desiderio di vivere l'intimità e la sfera femminile insieme alle altre donne, così come usavano le zie. Da mio padre ho invece bevuto la linfa del fervore ideologico, l'utopia della nascente nazione, della fratellanza e della liberazione dei somali.
Dopo la mia maternità precoce, la guerra e l'esilio sento dentro di me sopravvivere la sensazione di essere in grado di trasportare la mia casa e il mio guscio ovunque, attitudine al nomadismo atavica che riemerge e forse, chissà, mi è stata travasata dal sangue di mia nonna Barni.
M.I.B. continua: Che compito difficile ci hai dato!
Ho sviscerato pochi punti chiave, così senza rifletterci molto, vorrei approfondire con voi... tuttavia ciò che è venuto subito "a galla" è questo:
Per me essere italosomala significa avere un'identità un po' ai confini perché mi sento il frutto di una trama inscindibile creata da un passaggio storico breve, violento e rinnegato. Mi manca un senso d'appartenenza, vorrei essere capace di riempire lo "spazio interno" che collega le mie origini. I sentimenti che provo sono rabbia ed impotenza per "l'amputazione" legale, burocratica e di comunicazione nei confronti della Somalia e quindi le difficoltà che ho a tornare da papà e i miei fratelli. Forse non brillo per positività e ottimismo, ma se sentissi meno accesa e mi esprimessi in modo più quieto sarei rassegnata.
E.B., prosegue così: mi sento divisa tra due mondi, anche se il mio cuore è più vicino alla Somalia soprattutto perché sono nata a Mogadiscio...però mi sento anche fortunata e privilegiata perché sono il riassunto di due culture e attraverso di esse riesco a comprendere meglio sia la visione/pensiero degli italiani che quella dei somali...
M.I.B ritorna sull'argomento: considerando che le ferie sono un miraggio in un oasi di... lavoro ed impegni, faccio onore alla bella immagine figurativa di libro "bianco/nero" cercando di approfondire i concetti precedentemente espressi anche se non è facile perché riemergono vecchi ricordi intrisi di tenerezza struggente e tuttora irrisolti...
Come quella volta che in gita scolastica con le suore ho imbarazzato tutti esprimendo il desiderio di diventare bianca (chiedo venia, avevo sei anni e papà non era stato altro che una comparsa nella mia vita).
Tenerezza perchè papà allora era un ragazzino, anche lui senza mamma e papà, cresciuto dalle nonne e dalle zie che si è trovato a frequentare ingenieria a Ferrara ma l'Italia a volte ha le fattezze ed i colori del paese dei balocchi e... suvvia non fatemi raccontare, avete già compreso tutto.
Mamma, bella, ingenua, vent'anni, non so se sia stato il thé con il cardamomo ed i fiori di garofano o il profumo dell'unsi ma allora erano gli anni '70 e si credeva che tutto era possibile... pace, amore, giustizia.
Una favola pulita e profumata, sporcata dalla realtà ma che da cui sono nata io.
Io, che il desiderio infantile di diventare bianca si è tramutato in adolescenza in rifiuto della parte italiana (si chiama controdipendenza?), delle prevaricazioni occidentali, di tutti gli artifici di cui ci serviamo per compiere una vita, una vita che in Somalia scorre con un ritmo antico, ancestrale, interiore.
Che fatica arrivare a vent'anni e sorridere orgogliosa della mia pelle ambrata, perdonare mio padre, mia madre, il mondo, e aver voglia di ricominciare, imparare una lingua ostica, ricordarmi tutti gli antenati da darod a issa mahamud (pace di mio padre, me li ricorderò mai tutti?)
E aver voglia di raccogliere la sfida che sig.ra e sig. mamma e papà hanno accantonato, volere dare la possibilità a papà di ritornare e allo stesso tempo proteggerlo a spada tratta dai balocchi, e sentirsi vicina ai miei fratelli paterni che pure hanno perso la mamma….
Voglia di appartenenza, di imparare a fare i sambusa, di conoscere mia cugina in America perché ha la mia età e molte cose ci uniscono, di indossare il direh …
Essere italo-somali vuol dire molte cose…
E.S. amplia il tema: L'essere figli d'italiani e di somali in tempi passati voleva dire accusare i patemi di due razze con due culture e caratteri differenti, nel senso che uno era l'italiano fascista (irruente, scaltro, soggiogatore), l'altra la somala assoggettata ( semplice, ingenua, illetterata, imperita).
I sentimenti, i pensieri, i punti di vista degli italo-somali sono legati a quelle complicazioni che ci furono inculcate sin dalla più tenera infanzia tutto ciò collegato ad una sequela di circostanze, fatti ed avvenimenti.
Da un lato suore, preti e genitori paterni ci hanno indottrinato, ammaestrandoci, ad esaltare ed elevare la razza bianca; dall'altra c'insegnavano a disprezzare e disistimare quella nera (lingua natia compresa), noi italo-somali (sicuramente perché ingenui) non abbiamo fatto niente per reagire a queste ostilità nei confronti dei somali e la conseguenza è stata la coniazione del nomignolo di "waceel o cyaal misiyooni" (leggasi in somalo) in parole povere "bastardo" e quando venimmo in Italia, il rifiuto degli italiani di considerarci uno di loro ci ha irritato e deluso, causando a molti di noi delle crisi d'identità.
Personalmente e categoricamente mi rifiuto di condannare la società somala per la sua cultura o perché patronimica, e tanto meno biasimo le nostre madri di averci mandato in collegio, per loro tale istituzione era una condizione di lusso, un "College" con tutti i comfort e, secondo il loro punto di vista, noi in quel luogo potevamo ottenere tre pasti quotidiani, un'istruzione assicurata, vestiti decenti e oltretutto piccoli privilegi quotidiani tipo il fare la doccia senza dover attingere l'acqua dall'asciun, anche se poverine ignoravano il modo in cui eravamo trattati.
La colpa non può nascere per la cultura di una società, l'errore proviene da chi ha voluto stravolgere questa società.
Il terzo mondo ha subito il colonialismo di molti paesi europei, le donne sono state le prime vittime nel mirino di quegli uomini e i figli ovviamente sono le conseguenze di tali soprusi. Solo in Somalia, Libia ed Eritrea, la legge italiana fascista non voleva che ci mischiassimo alla popolazione indigena ma non ci considerava neanche degli italiani, facendo modo e maniera di isolarci marchiandoci con la nomea di razza apolide, cosa che non è successa dalle altre parti.
"Gli altri", cioè i franco-camerunensi, gli anglo-kenyoti ecc.ecc. non negano la lingua materna, non disprezzano il luogo natio e sono fieri di appartenere all'Africa.
Molti di noi non parlano il somalo ciononostante siano nati e cresciuti in Somalia, questo perché disprezzavano lingua e razza, quando in realtà l'essere somalo fa parte del nostro DNA e a posteriori o a priori non si può certo rifiutare quello che si è fondamentalmente.
Tuttavia, sarebbe molto interessante scrivere un libro e con la raccolta delle nostre singole esperienze e testimonianze: di come siamo cresciuti, come siamo stati trattati da suore e preti ecc. sono certa, uscirà un best seller. Non va intitolato "bianco o nero", ci sono molti titoli interessanti da adottare, suggerisco semmai "Figli di progenie dissonanti" suona meglio e attira curiosità oppure chiedete in giro quale miglior titolo affibbiare.
A margine voglio rispondere anche a quanto scritto riguardo quei ragazzi che si sono dati all'alcool o che si sono suicidati, beh! a parte il carattere debole, la colpa non è tanto il rifiuto delle società di origine ma il ripudio di un suo simile, mi spiego meglio, chi fu riconosciuto come legittimo dal proprio padre adottava sdegnoso un comportamento snob nei confronti di un suo simile non riconosciuto, facendogli pesare e notare questa differenza.
Dei nostri, quelli che hanno avuto possibilità di una istruzione migliore, sdegnava in modo eccessivo quello che non potevano avere o fare altrettanto. Non esiste peggior cosa di ricevere rifiuti, o peggio ancora l'indifferenza o il disprezzo da parte di un tuo simile. Per cui molti dei nostri dovrebbero farsi un mea culpa.
Aiutarsi a vicenda, volersi bene è la miglior panacea per un'unione dello stesso ceppo, tante guerre sono state vinte per l'aggregamento di popoli che si amavano, aiutare non vuol dire necessariamente la parte economica, esiste l'aiuto morale e psichico, aiutate vostro fratello a rialzarsi incoraggiare a farsi forza, dedicate più tempo a chi è più sfortunato, fate a turno se necessario, non perdete tempo con stupidi pregiudizi, non state a chiedervi chi può assomigliare ad un mulatto e chi non, perché ricordatevi che agli occhi degli altri, noi siamo simili.
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Vi vorrei raccontare un episodio che mi ha cambiato la vita.
Un giorno passeggiando per piazza di Spagna entrai in un negozio che oltre a spacciare un misto di prodotti culinari vendeva anche libri stranieri, il mio sguardo si posò su uno di questi che aveva la scritta in inglese ed era intitolato "STRIVE FOR A BETTER LIFE", colpita da tale titolo mi precipitai ad acquistarlo. Non vedevo l'ora di sfogliarlo ma aspettai di arrivare a casa, una volta giunta mi misi a sfogliare leggendo pagina dopo pagina con un po' di difficoltà (all'epoca non avevo una conoscenza fluente dell'inglese - com'è attualmente - ma me la cavavo abbastanza bene), il libro non era altro che un manuale che dava un sacco di consigli su svariati settori, ma ci fu un paragrafo che mi colpì molto perciò mi armai di dizionario carta e penna e iniziai a tradurre il testo dall'inglese all'italiano, voi non avete idea di quanto furono d'aiuto quelle parole. Ve le ripropongo, chissà potreste farne un manifesto utile ad aiutare un nostro fratello, però lo dovrete tradurre da voi, nel paragrafo "a" la frase è un cliché ve la voglio sottolineare e se non la capite fatemela sapere, okay?
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a) Recollect from your childhood which humiliated you, and then 'laugh them out of court'. Why should you allow something which happened in infancy to continue to affect your adult life?
b) Accept yourself as a person of worth. Esteem yourself, value yourself. Rejoice in your own uniqueness, and because you are unique, remember that you can make a contribution to life which no one else can make.
c) Constantly remind yourself that you have a great untapped potential of ability.
d) Fill up any gaps in your general education.
e) Improve the quality of your voice and speech. Good speech enhances personality.
Finally you will be surprised, and your friends will be surprised as they see the new hidden YOU emerging.
But it was only what was to be expected!!!
Ora vivo a Londra e faccio l'interprete di professione, indovinate per chi? Per le due etnie che mi hanno messo al mondo vale a dire traduco per italiani e somali. Ovviamente sono compiaciuta e soddisfatta di conoscere ambedue le lingue, lodo me stessa di averne appreso una terza.
Morale della favola? Non tutto il male viene per nuocere, mi sento appagata essendomi presa una rivincita personale, negli occhi di un somalo leggo orgoglio e stima per me invece negli occhi dell'altro l'italiano leggo stupore e invidia.
Quando mi chiedono di dove sono, dico semplicemente che sono un italo-somala, quindi ben venga la corsia centrale e, se gli altri suonano dietro, li lascio fare, prima o poi la "batteria" si scaricherà.

Amina: Ciao, è da tanto che mi faccio questa domanda, e per una volta sono contenta di non pormerla da sola....Mi piacerebbe tanto sapere se fra voi ci sono persone come me - nate in Italia da padre somalo e madre italiana, creciute in Italia, cittadini Italiani....Ma che non si sono mai sentiti DAVVERO tali, non fino in fondo. Perchè? Perchè sono gli altri, gli italiani "doc", a non farti sentire tale. A chiederti ogni volta:"ma tu non sei italiana, vero?", con quella domanda che già da se include una risposta. Vorrei sapere se tra voi ci sono persone che, come me, si sono sentite "diverse", ed abbiano sofferto tremendamente per questo. Ma oggi, alla soglia dei 30 anni, sono orgogliosa di poter dire che amo la mia "diversità", che cerco di capirla, di conoscerla, che sento sempre più la necessità di scoprire l'altra parte di me, che sono certa non si limita solo alla sfumatura caffelatte della mia pelle e agli occhi così "africani". C'è qualcuno tra voi che capisce e vive quello di cui sto scrivendo? Spero tanto di si, per parlarne insieme...
Il dibattito è aperto, aspetto il vostro contributo, elaboriamo l'argomento in maniera approfondita, esauriente, analitica e anche personale se necessario. Farà parte di un libro che abbiamo intenzione di scrivere.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Salve a tutti

mi associo al pensiero di Gianni Mari per quanto riguarda il fatto di avere coscienza del nostro essere italosomali e partecipare con più costanza alla vita della nostra Associazione fondata da più di dieci anni. All'epoca siamo partiti molto bene con tanto entusiasmo e mano a mano ci siamo persi per strada per una serie di motivi, mentre un piccolissimo gruppo ha mandato avanti,con grande impegno, in questi anni delle iniziative per tutelare sia i nostri diritti sia i nostri interessi. Qualcosa si è fatto e molto resta da fare, per cui resta forte l'invito a partecipare numerosi, anche con proposte, alla vita dell'Ancis.
Comunque credo che questo blog deve prima di tutto servire a contarci, raccontare storie personali, come in un diario, farci sentire parte di una comunità viva e non sentirsi relegati in una "riserva indiana". Ho molto apprezzato l'inserto con pensieri di C.A.F., M.I.B. e E.B., dove sono stati messi a fuoco esattamente lo stato d'animo di ognuno di noi, senza piangersi addosso ( cosa che non appartiene al nostro Dna ). Spero che altri lettori che passano da queste parti vogliano lasciare un commento o scrivere di una storia, consigliare un libro, un film, una mostra, oppure di iniziative umanitarie da ogni parte d'Italia per aiutare la nostra terra d'origine per parte di madre o di padre.a risentirci presto. antonio murat

dacia ha detto...

Ma che splendore di pezzo. Si, è proprio vero: come il sangue somalo non ce n'é.

Ti ho linkato Gianni, e fra qualche giorno ti scrivo, ché per il momento sono in pieni preparativi per le le mie nozze (si dice così?).

Questo blog può - e deve - diventare il gioiello della nostra comunità, può - e deve - diventare lo start point di una nuova stagione per tutti noi. Soprattutto per quelli che non hanno voce in capitolo.

In bocca al lupo.

Dacia Valent