venerdì 20 giugno 2008

17 giugno 2008 pagina 36 sezione: R2


I bimbi italiani strappati alla Somalia

Sono passati 58 anni: l'Italia è pronta a riconoscere i propri torti e a offrire compensazioni a chi ne ha subito le conseguenze, ma non ancora a chiedere scusa. È una storia che parte da lontano quella di Lucia, Gianni, Antonio, Mauro e di altre centinaia di persone come loro: quando la raccontano alcuni piangono ancora, come se fosse accaduta ieri. La storia è quella di un gruppo di bambini nati in Somalia durante gli anni dell'Amministrazione fiduciaria italiana del paese (Afis) da coppie miste: madri somale e padri italiani inviati lì come militari o funzionari. Quando avevano pochi anni i piccoli, con meticolosa regolarità, vennero portati via alle madri per essere allevati in collegi gestiti da religiosi italiani: dapprima in Somalia e poi, dopo la fine dell'Afis, in Italia. Di quel trauma, della separazione forzata dalle madri subita dopo l'abbandono da parte di padri che quasi mai li riconobbero, da anni gli ex ragazzini chiedono conto allo Stato italiano. Oggi un disegno di legge del ministero dell'Interno per la prima volta dà loro ragione, riconoscendo le "discriminazioni subite" e stabilendo un assegno vitalizio di indennizzo. Ma il provvedimento non basta agli italo-somali, che dallo Stato italiano vogliono, prima di tutto, delle scuse. "Era l'agosto del 1963 - ricorda Lucia con la voce che trema - io avevo 9 anni. Sbarcai a Genova e vennero a prendermi due suore, vestite di nero, pallidissime. Mi portarono in quella che per i 7 anni successivi sarebbe stata la mia casa: notai subito le sbarre ovunque e le porte chiuse. Era buio e freddo, nonostante fosse estate piena. Non so quando capii che ero finita in un carcere. Fu orribile: ero sola, non capivo perché fossi lì: mi ammalai di anoressia, non parlai per due anni. Poi un giorno decisi che dovevo reagire, altrimenti sarei morta. Non potrò mai dimenticare". Lucia non vuole che si scriva il suo cognome, né la città dove vive: oggi che è adulta sa che non aveva fatto nulla per finire in carcere minorile da bambina, ma preferisce continuare a tenere nascosti i fantasmi del passato. Le cronache del tempo raccontano che negli anni dell' Afis - fra il 1950 e il '60 - le relazioni miste erano una questione ben nota alle autorità italiane: «Non esagero dicendo che la maggior parte ha la madama, qualcuno anche sposato», scriveva nel 1951 riferendosi agli italiani di Somalia l' arcivescovo di Mogadiscio, Venanzio Filippini. Da quelle relazioni nacquero centinaia - almeno 600 secondo i documenti dell' epoca - di bambini, tutti con un destino segnato: «I funzionari italiani arrivavano dalle nostre madri quando noi avevamo uno, due anni - racconta Gianni Mari, presidente dell'ANCIS, associazione italo-somali - il discorso era sempre lo stesso: il bimbo avrebbe avuto un destino migliore con gli italiani. Promettevano un' educazione, un lavoro futuro, cibo tutti i giorni. E le nostre madri, giovani e allontanate dalle comunità per aver avuto una storia con uno straniero, dicevano sì». Così la maggior parte dei bambini figli di coppie miste finì nei collegi cattolici della Somalia, dove venivano battezzati ed educati secondo i programmi scolastici di Roma: «Dovevamo parlare solo italiano, dimenticare la lingua delle nostre madri e il loro paese. Non c' era nulla a ricordarci l' altra metà di noi. La nostra parte somala doveva semplicemente sparire», ricorda ancora Mari. Nel corso degli anni le madri diventavano fantasmi lontani mentre i padri spesso non erano mai esistiti. La storia andò avanti così fino alla fine del mandato italiano in Somalia: di lì in poi si pose il problema di rimpatriare i minori, ormai sradicati nel loro stesso paese. «Arrivammo in Italia. Soli. Qui scoprimmo che non eravamo neanche italiani: la maggior parte di noi era apolide, perché senza riconoscimento paterno non c' era nazionalità. Eravamo malvisti nei collegi religiosi, perché considerati bastardi e in più di pelle scura. Subimmo insulti razziali, violenze, soprusi, pedofilia. Chi di noi ne è uscito è una persona forte. Ma molti non ce l' hanno fatta: si sono suicidati o sono in preda alla depressione», conclude Mari. Oggi, a distanza di quasi 60 anni, lo Stato è pronto ad ammettere per la prima volta la propria responsabilità per le sofferenze della signora Lucia, del signor Mari e di centinaia di bambini come loro. Lo fa con l' ufficialità di un disegno di legge firmato dal Viminale: un risultato importante paragonato ai decenni di silenzio. Un risultato che però non basta a molti dei protagonisti di questa storia. «Pretendo che ci si chieda scusa», dice Antonio Murat, 59 anni. Il signor Murat è uno dei pochi "fortunati" che alla nascita fu riconosciuto dal padre e porta il suo cognome. «Mi portarono in collegio in Somalia che avevo 3 o 4 anni - racconta - mio padre mi riconobbe, ma non fu mai presente. Venni in Italia da solo, quando diventai maggiorenne, e poco dopo mia madre morì, senza che l' avessi rivista. Dei soldi non mi importa nulla, ma qualcuno deve chiedere scusa a me e a lei per averci divisi». La voce di Antonio si incrina, dal portafoglio tira fuori una vecchia foto in bianco e nero: è la mamma, giovanissima e bellissima. «Io invece voglio tutto, voglio anche i soldi - interrompe Mauro Caruso - e di una pensione minima Inps, come quella che prevede la legge (500 euro circa, ndr) non so cosa farmene». Il signor Caruso si presenta come «un italiano con la pelle di pigmentazione scura». In lui, il dolore che in Murat è sfociato in malinconia si trasforma in rabbia: a differenza di molti altri italiani, suo padre non fece mancare nulla alla compagna somala e ai quattro figli avuti da lei. Compresa la cittadinanza italiana. Ma un giorno morì e alla porta suonarono i funzionari di Roma: il fratello e le sorelle di Mauro furono portati in Italia. Lui, che aveva un anno, rimase con la madre fino al 1974 quando fu costretto a partire a suo volta. «Entrai in collegio a Roma e ne uscii a 18 anni: ero solo. Mia madre era in Somalia, i miei fratelli erano estranei di cui non ricordavo nulla. Avevo sulle spalle un carico di soprusi che avrebbe potuto trasformarmi in un killer: invece ho fatto mille lavori, ma la mia fedina penale è sempre rimasta immacolata. È l' unica cosa bianca che ho», conclude tagliente. «Erano ragazzini rifiutati sia dall' uno che dall' altro lato», ricorda Don Antonio Allais, sacerdote torinese che negli '70 assunse la patria potestà di decine di piccoli apolidi di origini somale e imbastì cause su cause perché fosse riconosciuta loro la cittadinanza italiana. Le vinse, regalando ai suoi protetti un' identità su cui cominciare a costruirsi una vita: «Ma un passaporto non sana le ferite: restarono degli sradicati, senza affetti e trattati male da tutti». Negli anni, il caso degli italo-somali è rimasto a galleggiare nelle pastoie della burocrazia italiana: qualche interrogazione parlamentare negli anni '60, lettere degli ex bambini alla presidenza della Repubblica e al Parlamento europeo. Carte bollate, promesse e nessun fatto, fino a quando due anni fa il Comitato contro la discriminazione e l' antisemitismo del Viminale non decise di prendere in mano il loro dossier e, dopo decine di controlli e audizioni, mise a punto il disegno di legge sugli indennizzi: «Lo Stato è arrivato tardi - ammette il prefetto Mario Morcone, presidente del Comitato - speriamo con questa legge di rimediare almeno in parte alle sofferenze». La speranza del prefetto lo scorso anno è andata frustrata, perché non i due milioni di euro necessari per dare copertura finanziaria al disegno di legge non si trovarono: Morcone è pronto riprovare a settembre, quando si comincerà a discutere della prossima finanziaria. Come tutti, la signora Lucia spera che i soldi vengano fuori, ma per lei è chiaro che questo non basterà a chiudere i conti con il passato: «Voglio delle scuse per chi ha vissuto la mia stessa storia e si è suicidato. Per chi è depresso. Per le nostre madri, stritolate da questa vicenda quando erano poco più che bambine. Per i nostri figli, che non devono vederci come dei bastardi. Un misero foglio di carta in cui si parla di soldi e non di responsabilità di certo non mi basta».
- FRANCESCA CAFERRI -
pagina 36 sezione: R2


martedì 17 giugno 2008

Ci siamo. Bisogna fare i conti con il passato, dunque ora vogliamo le scuse.

Era il 1° Aprile 1950, cominciava l'Afis, cominciava un'infamia celata per 58 anni. Celata, ma gli artefici, non c'è l'hanno fatta a portare a termine il programma di annientamento, anzi...
La vicenda ora ha preso un altra piega. Nei pochi casi analoghi successi in altri paesi si stanno facendo i conti con il proprio passato ora tocca all'Italia. E' stata una lunga lotta intrapresa dall'Ancis a portarci a questo risultato e a questo punto. Non è stato facile, abbiamo subito umilianti attese, ci siamo scontrati con gente che non voleva sentire ma che già sapeva e così via. Ora è chiuso un capitolo e ne apriamo un altro che non ha scusanti e qui lo dico in modo chiaro netto in modo tale che tutti capiscano e non ci siano fraintendimenti.
Il ruolo dello Stato italiano in questa vicenda non ha e non corrisponde a reale volonta di soluzione alla vicenda. La grave emergenza che abbiamo posto deve avere una fine. Ancis per ritenere la faccenda conclusa soddisfacentemente deve ricevere dal governo italiano FATTI concreti, misure e azioni a soddisfare le giuste esigenze dei soggetti coinvolti, degli eredi di chi non c'è più e soprattutto l'inclusione delle mamme che hanno subito le peggiori umiliazioni.
Qui c'è lo steaming della trasmissione di TV La Repubblica:
Noi, somali italiani(17 giugno 2008)
Quaranta anni dopo, parlano i figli meticci degli italiani in Somalia. Senza patria e senza famiglia. A metà fra passato e presente. E senza futuroIn studio a Roma Francesca Caferri, la Repubblica, Gianni Mari e Antonio Murat. In collegamento telefonico lo storico Angelo Del Boca. Conduce Edoardo Buffoni.

lunedì 16 giugno 2008

E venne l'ora ............




Domani 17 Giugno, il quotidiano La Repubblica pubblicherà l'ARTICOLO.

Interessante articolo, di cui non vi anticipo nulla, in quanto, prima di essere pubblicato sembra che abbia già innescato una serie di slavine che stanno diventando valanga.
Il merito del giornale è che sta pubblicando e proponendo qualcosa che era sotto gli occhi di tutti ma che .... sembra era invisibile. Il merito di Ancis è stato quello di portare caparbiamente avanti con costanza un ingiustizia e un indiscriminazione contro dei cittadini italiani in un epoca che non era più quella coloniale e fascista ma con un regime internazionale e in piena Repubblica.

E' chiaro che non possiamo e nessuno può chiedere che la dignità umana calpestata e le vite guastate siano riassemblati; nessuno ci potrà ridare più i nostri fratelli/sorelle che abbiamo perso per strada, nessuno ci renderà coloro che sono morti, nessuno potrà aiutare ne lenire le sofferenze dell'animo e della psiche. Umilmente insieme ci daremo animo e forza. Dobbiamo capire che ci possiamo aiutare fra di noi e il gruppo dirigente Ancis confida in questa forza che noi italosomali abbiamo.
Nel precedente articolo nel blog vi chiedevo di serrare i ranghi e che vi avevo anticipato una "notizia" che cambierà la Comunità degli italosomali. Il momento è arrivato. Ringraziamo la redazione completa di La Repubblica e in particolar modo Francesca Caferri e ringraziamo tutti i ragazzi che hanno contribuito giorno dopo giorno a questo ripristino della verità comune e del buonsenso. Un caro saluto a tutti.
Gianni Mari

giovedì 12 giugno 2008

Dopo l'Australia, il Canada chiede scusa ai nativi.

Lo Stato Canadese fa scuse con un discorso del premier in Parlamento, sono stati stanziati fondi per 2 miliardi di dollari da destinare a ex studenti e discendenti dei nativi. "Risarciremo abusi e violenze". Un'inchiesta scoprì che in oltre 100 istituti avvenivano soprusi fisici e sessuali con più di 150 mila vittime. I bimbi venivano tolti alle famiglie e costretti all'integrazione.
Dopo le storiche scuse australiane (http://youtube.com/watch?v=uERSO_9M75k) e le precedenti scuse del governo norvegese con una causa in corso presso il tribunale dei diritti umani per i cosidetti "figli di Hitler, ora si aggiungono anche le scuse canadesi. E' un risveglio della coscienza di Stati che si sono macchiati di crimini che incidono sui diritti fondamentali della persona (chiunque essa sia) e come tali non suscettibili di nessuna prescrizione perchè un atto di annientamento verso un altra persona è il peggior crimine che un uomo possa compiere e questi crimini, purtroppo, sono successi.
Frammenti di vite spezzate a cui oggi il governo del Canada, per bocca del Primo ministro Stephen Harper, chiederà ufficialmente scusa. Non solo. Per 90 mila di loro, tra cui figurano sopravvissuti e discendenti, riceveranno un risarcimento, 2 miliardi di dollari.
Il vento è cambiato e sta cambiando per molti Stati che hanno avuto questo comportamento.
In questa vicenda il cambio lo si intuisce dalla dichiarazione del ministro degli Affari Indiani, l'attuale, Chuck Strahl: "E' un rispettoso e sincero riconoscimento di un'estesa devastazione culturale, che ha compreso traumi fisici, abusi sessuali, e continua a perseguitare quelle generazioni anche oggi". L'atto ha seguito di pochi mesi quello del governo australiano nei confronti degli Aborigeni. Ma il Canada è andato più in là, e oltre alle scuse ufficiali ha aggiunto un risarcimento economico. A occuparsi del compenso sarà una commissione creata con parte dei 4,9 miliardi di dollari, cifra più alta della storia del Paese, raggiunta al termine di un accordo tra governo, confessioni religiose e rappresentanti indigeni, al termine di una class action promossa dai nativi. Riceveranno un risarcimento tutti gli studenti delle scuole incriminate, mentre un'ulteriore somma andrà alle vittime di abusi sessuali. A coordinare la commissione sarà Harry LaForme, primo e unico aborigeno a essere nominato giudice di Corte di Appello. LaForme viaggerà attraverso il Paese per ascoltare storie di studenti, insegnanti e testimoni e per educare i canadesi sul "lato oscuro della storia del Paese".
Le comunità indigene puntano il dito verso il programma di colonizzazione, non solo culturale, e lo ritengono alla radice degli alti tassi di suicidi e di dipendenze da droghe e alcool che affliggono le loro comunità. Nonostante le minoranze etniche siano trattate relativamente bene in Canada, rimangono la parte più povera e svantaggiata del Paese.
Stasera il Canada si fermerà. Maxi-schermi sono stati allestiti in molte città per seguire il discorso di riconciliazione del primo ministro. Il Parlamento fermerà tutti i lavori. C'è grossa attesa anche tra le associazioni dei nativi, che oggi sono più di un milione. Alcuni di loro, soprattutto Inuit (quelli che un tempo venivano chiamati eschimesi, termine oggi considerato dispregiativo) e Metis (discendenti di famiglie indiane incrociate con europei), protesteranno perché i risarcimenti vengano allargati alle persone escluse perché le loro scuole non fanno parte della "lista nera".
Fra non molto ne vedremo delle belle su questo argomento ......

martedì 10 giugno 2008

E' il momento di serrare le fila.


C'è un momento che una persona pensa a quel che è successo e rivede i fotogrammi come un film già visto.
Memorizzi azioni e dici tra e te, conosco questa strada, ho già posato il piede in quella data maniera, ora vedrò una macchina o un volto noto che già avevo visto in quella precisa espressione etc.
Ho fatto questa introduzione per arrivare al nocciolo della questione.
Insieme a tanti compagni, amici, fratelli e sorelle italosomali il 4 Luglio 1996 abbiamo fondato l'ANCIS.
Era il punto di partenza ambizioso e che partiva da un presupposto altrettanto più ambizioso:
fare casa comune, rappresentare la nostra cocciuta solitudine in modo collettivo e cercare di saltare insieme gli ostacoli che inconsapevolmente gli italosomali pongono fra loro e con gli altri.
Gente magnifica gli italosomali: intelligenza poderosa (magari si perde in mezzo bicchiere d'acqua), carattere chiuso (derivante anche dalle mille difficoltà), litigiosità permanente, permalosità chilometrica, sospettosità impareggiabile etc etc., ma nonostante tutto ciò, e memori degli errori avvenuti nel passato (per esperienze similari intraprese anni fa ma sempre fallite) siamo andati avanti in questo progetto veramente innovativo per la Comunità.
Eccoci qui ora, dopo 12 anni e tanta esperienza acquisita direttamente nei campi di battaglia. Qualche risultato, possiamo dire, lo abbiamo raggiunto. A questo proposito nei prossimi giorni comunicheremo direttamente l'EVENTO che inciderà profondamente sulla Comunità, tuttavia, nel contempo bisogna chiaramente dire che è necessaria una crescita mentale e porre fine a sterili disfide o malcelati calcoli che non hanno più ragione di esistere né di essere. Bisogna prendere atto che gli italosomali della nostra generazione hanno la particolarità unica di essere nati in un contesto storico irripetibile. Siamo un unicum non paragonabile con altre realtà di meticciato di tutto il mondo: noi non apparteniamo alla patria materna (vista la patrinimicità di cui si fa uso in Somalia) né a quella paterna (vista la considerazione di fondo che ha la società italiana a considerarci neri); non abbiamo una cultura specifica da sviluppare, parliamo due lingue che ci appartengono (molti neanche tutt'due) e non ci appartengono, abbiamo una religione imposta, abbiamo tante volte cognomi non nostri ma per contro siamo un'etnia che ha una precisa data di partenza cioè dall'arrivo dell'Italia in Somalia (ed è questo il preciso contesto storico), sappiamo chi era e chi è stato il primo meticcio maschio (1911) e la prima femminuccia (1912).
A seguire nel tempo c'è stato l'incremento crescente degli italosomali; il fascismo e le sue leggi razziali; i collegi; la guerra e la sua fine; i collegi ancora; la fine del colonialismo ma non la fine del razzismo, altri collegi etc. etc.
Questa è la pecularietà unica ed irripetibile a cui mi riferisco sempre. Non la trovate da nessuna altra parte. E' solo nostra.
Quelli che sono nati dopo l'indipendenza ci sono perché sono nati da un atto di amore fra due persone che si sono scelte e si sceglieranno ma non hanno nulla a che fare per il vissuto con la nostra generazione, la generazione del ceppo d'origine degli italosomali.
Partendo da quel punto Ancis si è battuta per arrivare a far quadrato nella nostra peculiarità. Ci siamo riusciti, caparbiamente, a tracciare una linea da seguire e, se oggi ci sono evidenti risultati che ci fanno dialogare con le istituzioni, i mass media e le organizzazioni preposte vuol dire che c'è gente che si è sacrificata per raggiungere questi obiettivi. Questa gente ha speso il proprio tempo libero, ha rinunciato alle proprie ferie, ha speso di tasca propria le trasferte per raggiungere lontane località etc etc.
Quello che vi chiediamo è semplicemente il vostro sostegno e chiediamo di contribuire tangibilmente questo sostegno con il versamento delle quote associative che sono annuali e che per quest'anno ammontano a 50,00 €. Il Conto Corrente ANCIS su cui effettuare il versamento postale è questo: C/C 87320222, per il bonifico postale utilizzare le seguenti coordinate:
IT 82 C 07601 03200 000087320222
Dobbiamo raggiungere tutti, di conseguenza tale quota scenderà a 25,00 € l'anno prossimo. Chiarisco in maniera netta che questa è la quota associativa ANNUALE di ANCIS che va a ANCIS e nessun altro, punto.
Il gruppo dirigente Ancis vi chiede di lasciar perdere dietrologie inesistenti e cominciamo veramente il "percorso". Ci guadagniamo tutti sicuramente a confrontarci lealmente e collaboriamo a raggiungere ogni traguardo possibile INSIEME.
Grazie a tutti e a risentirci.
Gianni Mari