mercoledì 24 dicembre 2008

Un Anno eccezionale per gente eccezionale.


Cari fratelli, sorelle, amici, amiche un caro augurio innanzi tutto di Buon Natale e felice feste. Oltre agli auguri di prassi abbiamo e c'è anche una certezza: finalmente cominciamo a credere nelle nostre forze e che siamo un gruppo coeso e unito. Personalmente vi ringrazio tutti e ringrazio le persone che hanno lavorato tutti questi anni a questo nostro progetto. Sono state appaganti giornate di esperienza che ci hanno formato come persone e ci hanno reso veramente consapevoli sulle nostre collettive potenzialità. Il lavoro svolto è un duro lavoro ed è una realtà per la nostra Comunità, una realtà che viene lodata da altri meticci come noi – “Questo rende merito ad una comunità che è rimasta, comunque, compatta ed unita nel rivendicare i propri diritti. Noi italoeritrei, purtroppo, non siamo altrettanto coesi. Scrive quest’amico nel nostro blog” –.
Ma ciò che mi rende veramente orgoglioso di tutto e il fatto che abbiamo eliminato e superato aspetti negativi che fino ad oggi avevano fatto fallire qualsiasi tentativo di associarci fra di noi e ciò per mille motivi che non sto a indicare o elencare. C’è finalmente consapevolezza di essere forza unica e non siamo ammaliabili alle sterili incomprensioni. Siamo i primi a crederci, al di là dei risultati che potrebbero venire o meno. Il primo risultato c’è ed è stato visibile con le riunioni che abbiamo tenuto l’11 e il 26 Ottobre. E’ stata una gioia indescrivibile aver fatto incontrare, incontrarci così numerosi, felici, contenti di rivederci e di contarci. Bellissimo. Un anno eccezionale, indimenticabile. Mi ha fatto scordare le fatiche, le delusioni, l’amarezza dei tanti incontri andati a vuoto e che sembravano tempo sprecato, perso. No, oggi ho la certezza che non abbiamo perso un minuto e ne perderemo sempre meno portando avanti le nostre ragioni, rivendicazioni e quant’altro, però, non perdendo anche di vista quello che siamo: gente eccezionale.
In primo luogo siamo felici di esserci attivati per tirare fuori il nostro caro fratello Aurelio Zatti e un suo fratello bloccato in Somalia presso le autorità italiane appunto perché venga riconosciuto nelle sue specificità di membro della Comunità italo somala. Ci sono buone probabilità che Aurelio torni fra i suoi fratelli libero di viaggiare e trovare i suoi affetti e i suoi figli senza essere ingabbiato in una cittadinanza somala che non gli appartiene e lo costringe profugo in Uganda.
Il nostro cammino sfocerà fra 18 mesi nel 50nnale della fine dell’Afis a cui ci stiamo preparando e su questo vi chiediamo il vostro supporto a fornirci eventuali documentazioni, fotografie;
Abbiamo in atto la campagna per aggiornare il database dell’elenco degli italosomali in Italia e nel mondo. Che consiste di adottare 10 nominativi di italosomali e inviateci i loro dati di cui siete certi e verificati: luogo e data di nascita, residenza, città, telefono e email. Ribadisco l’appello di aiutarci a censirci;
C’è un importante iniziativa di fattibilità in corso, di cui per motivi di riservatezza al momento non vi posso mettervi al corrente, ma che al momento opportuno saprete i particolari;
Per i primi mesi dell’anno nuovo mettiamo all’incasso uno dei nostri cavalli di battaglia: il riconoscimento dei contributi previdenziali dei profughi italiani dalla Somalia. A questo proposito l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro ha presentato un emendamento che sarà firmato nel collegato Lavoro del Ministero ai primi mesi dell’anno nuovo. Non sappiamo come è formulato ma è una battaglia ch’è stata vinta dalla nostra associazione ed è a disposizione di tutti gli italiani profughi dalla Somalia.
Un altro lavoro portato avanti dalla nostra associazione sono le disposizioni a favore dei connazionali costretti al rimpatrio dalla Somalia nel 1991 ed è stato assegnato (non ancora iniziato l'esame) 28 ottobre 2008 alla V^ Commissione del Senato e, appunto forti come siamo diventati l’art 4 delle Commissioni del DDL recita: Art. 4. 1. La Commissione di cui all’articolo 3, comma l, di seguito denominata «Commissione», è costituita entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto fra il Ministero dell’economia e delle finanze e le associazioni di assistenza specifica ai rimpatriati dalla Somalia maggiormente rappresentative. In sede di prima applicazione, partecipa al concerto l’Associazione nazionale della comunità italo-somala (ANCIS).
Appunto elencandovi il lavoro di Ancis e il suo riconoscimento istituzionale anche presso la Regione Lazio, ritenendoci associazione di assistenza specifica, quest’anno abbiamo regalato, firmando il protocollo di concertazione regionale assieme ai profughi dalmati, a due famiglie profughe italiane dell’Etiopia due appartamenti a 200 o 300,00 € di costo totale.
Questo è un resoconto sommario di quanto è stato fatto ma vorrei ritornare a dire che è un resoconto che mi permette dire che abbiamo imboccato la strada principale: quella di essere un gruppo e questo gruppo deve ancora esprimere tutta la sua potenzialità, energie, idee e un auspicio di convivenza che ci permetta di superare DEFINITIVAMENTE piccole ed inutili incomprensioni perfettamente sanabili con dialogo aperto. E’ stato inoltre, un anno eccezionale, perché un meticcio come noi è approdato alla presidenza degli Stati Uniti … ed ho detto tutto. Colui che vi scrive da anni sta dicendo sotto i baffi: “Il meticciato. E’ l’unico particolare rilevante dell’universo, il resto sono solo sfumature irrilevanti…..”
Auguri a tutti e Felice Anno Nuovo cari fratelli, sorelle, amici e amiche.
Gianni Mari

Italosomali .....


Articolo pubblicato sulla rivista Internazionale (n. 770, 2008) e scritto da Cristina:

La scorsa settimana ho partecipato per la prima volta a una riunione dell'Associazione Nazionale Italo-Somali. Cinque anni fa ero rimasta colpita dall'energia dissacratoria di Gianni Mari, presidente dell'Ancis, intervenuto durante un convegno piuttosto pomposo. Non ho avuto, in quel momento, modo di avvicinarlo, ma da allora ci siamo continuati a sentire per telefono come amici di vecchia data. Fonte di storie e di aneddoti inesauribile, mi faceva partecipe di quella che è, ormai da anni, sua ricerca e battaglia appassionataL'Ancis esiste dal 1996, l'obiettivo per cui è stata fondata è soprattutto quello di raccogliere documenti pubblici e privati che ricostruiscano la storia del meticciato italo-somalo, definito da Mari “frutto proibito della lunga relazione tra l'Italia e la Somalia.”La battaglia politica dell'Ancis riguarda il riconoscimento da parte dello stato italiano della responsabilità nei confronti dei soprusi e dei danni psicologici e fisici subiti dai ragazzi italo somali e dalle loro madri. “Chiediamo che lo stato faccia pubblicamente le sue scuse” dichiara Antonio Murat, membro dell'associazione.Strappati alle madri in tenerissima età e cresciuti in collegi in cui vivevano completamente isolati dalla comunità italiana e somala, i meticci continuarono a subire soprusi ben dopo la fine della seconda guerra mondiale e indipendentemente dalle leggi razziali. La maggior parte delle nascite da madre somala e padre italiano si registrano, infatti, nel periodo dell'Afis (Amministrazione Fiduciaria Italiana) tra il 1950 e il 1960 anno dell'Indipendenza somala. Nei collegi nasceva tra i ragazzi un forte senso del gruppo, risposta al doppio isolamento vissuto. Nell'intreccio emozionante di rincontri e ritrovamenti a cui ho assistito durante la riunione romana, mi ha molto colpito la storia raccontatami da Anna Gargiulo, partita da Modena verso Roma, insieme a due amiche provenienti da altre città del nord, sulle tracce di un compagno di scuola scomparso. Qualcuno aveva loro detto che vivesse come vagabondo senza tetto. La ricerca è culminata con la scoperta della sua morte.
Tra le presenti c'era la madre di un'amica d'infanzia, Olivia Marino, che da bambina consideravo molto bella.La scuola italiana e la “Casa d'Italia” di Mogadiscio erano un interstizio ibrido e chiuso anche negli anni Ottanta quando ho cominciato a frequentarle, tuttavia probabilmente non conservavano neppure l'ombra di quell'isolamento opprimente che dovevano aver vissuto gli italo somali nei collegi.

martedì 23 dicembre 2008

Lettera aperta a problemi aperti.....

Salve, mi chiamo Federico Alberti, sono nato a Massaua (Eritrea) nel 1960 e sono Italoeritreo (di padre italiano e mamma eritrea). All'età di anni 10 circa ho perduto mio padre. In seguito a tale circostanza, è intervenuto il Governo italiano e sono stato messo in collegio a Massaua, poi ad Asmara ed infine portato in Italia. Sono stato rimpatriato in Italia nel settembre del 1972 come profugo dall'Eritrea. In Italia sono stato messo in collegio a Roma. Sono cresciuto in collegio fino all'età di anni 18, dopodichè ho dovuto trovare una sistemazione fuori dall' istituto. Ho conosciuto anch'io i disagi, le sofferenze ed i patimenti dell'essere stato strappato dalla propria madre e cresciuto in collegio, da solo. Vi sono tanti italoeritrei che hanno patito lo stesso trattamento. Ho letto nel sito dell'ANCIS che vi sono stati anche tanti italosomali in una situazione analoga. Per la quale giustamente, coraggiosamente e lodevolmente avete avanzato allo Stato italiano una proposta di riconoscimento del danno patito. Questo rende merito ad una comunità che è rimasta, comunque, compatta ed unita nel rivendicare i propri diritti. Noi italoeritrei, purtroppo, non siamo altrettanto coesi. Ed è l' unione che fa la forza...... e la differenza. Di questo, sinceramente, vi ammiro. Di quanto brevemente ho accennato vorrei parlare. Io come (immagino) altri italoeritrei, che si sono trovati in una situazione identica alla vostra, vorremmo, laddove sia possibile, unirci alla vostra battaglia. O perlomeno parlarne un po'. Ritengo sia fattibile che il Governo italiano rimedi, agli errori commessi a suo tempo, intervenendo nei confronti di tutti i soggetti interessati. Parliamone apertamente.
Auguro un Buon Natale e Felice Anno Nuovo, esteso alla vostre famiglie ed a tutti gli italosomali, italoeritrei e italoetiopi.
Federico Alberti

venerdì 28 novembre 2008

Misfatti vostri di Cristina Ali Farah

Prima di uscire, mio padre fa roteare intorno a sé la bomboletta di profumo e controlla allo specchio che la pettinatura afro sia a posto. È in questo modo che vedo riflesso il suo sgomento di fronte al mio improvviso entusiasmo: papà, gli dico, da oggi so cosa sono, mi hanno chiamata misioni. In Somalia, misioni era un termine usato per riferirsi agli italo-somali in senso dispregiativo, ma allora non lo sapevo. E neppure sapevo che fosse legato alle missioni cattoliche, nei cui collegi crescevano molti bambini, figli di madri somale e padri italiani che non li riconoscevano. Racconta una testimone: "Venivano quelli del vicariato con una lista di cognomi da assegnarci. Le nostre madri ci affidavano perché erano donne senza mezzi, volevano sistemarci ed erano discriminate dalla stessa società somala. I collegi erano terribili, non c'eravamo solo noi, ma molti bambini orfani". Circa un mese fa è uscito un lungo reportage dedicato ai "bimbi dimenticati d'Italia", in occasione di un disegno di legge del ministero degli Interni che riconoscerebbe un INDENNIZZO AGLI ITALO-SOMALI VITTIME DI DISCRIMINAZIONI. Cosa significa per uno Stato riconoscere una somma di denaro come risarcimento per gli effetti nefasti prodotti dalla Storia sulla vita dei singoli? Secondo quali criteri si offre un indennizzo per alcuni crimini e non per altri? I gas usati per piegare gli etiopi sono forse meno gravi delle violenze fisiche e psicologiche delle suore? Rielaborare il passato coloniale italiano evitando di incorrere in una retorica ambigua e semplicistica resta fondamentale. Iscrivere il passato nel presente è una questione politica ancor più che storica, dalla quale dipende il nostro futuro comune.

martedì 28 ottobre 2008

I video di Parma e la raccolta delle foto di Roma e di Parma

Le foto di Roma e di Parma


Tutte le foto della riunione ANCIS di Roma e della riunione di Parma.

Per vedere i video di Parma:http://it.youtube.com/results?search_query=video+badeyee&search_type=&aq=fStiamo preparando il video professionale dell'incontro di Alessandria e di Parma. Be patient. Ce la faremo

martedì 14 ottobre 2008

Comunicato Stampa - Invito


ANCIS (Ass. Nazionale Comunità Italo Somala) comunica e invita le Istituzioni, le forze politiche, il Governo, i media italiani per la partenza straordinaria dello speciale Vagone merci il 1° Aprile 2009 - il 59mo anniversario dell'inizio dell'Amministrazione Fiduciaria Italiana sulla Somalia - dal Binario 21 della Stazione Milano Centrale destinazione SAN SABA o AUSCHWITZ (è concesso l'uso per l'occasione delle due amene località).
Sono garantiti i seguenti servizi in ESCLUSIVA agli italo somali, unici titolari del provvedimento:- - la cancellazione totale dei diritti civili ai 350 bambini nati durante l'AFIS;
- piombatura delle coscienze etiche, civili e del vagone in partenza;
- agli italo somali è riservata la cancellazione dei diritti umani universalmente riconosciuti come regalo aggiuntivo;
- è concesso d'obbligo alla Repubblica italiana – nonostante l'invito valido da 58 anni – dichiarare la totale assenza delle Istituzioni, dello Stato e del governo sulle responsabilità oggettive del suddetto viaggio;
- si concede eccezionalmente il TRIS delle leggi razziali già vissute dai (ex) 350 bimbi sia durante la repubblica sia durante il ventennio;
- è cancellata d'ufficio la presenza del quotidiano La Repubblica e della giornalista Francesca Caferri che hanno avuto l'ardire di pubblicare un inchiesta di 3 pagine sulla vicenda AFIS il 17.06.2008.
Note:. Le iscrizioni sono gratuite solo per i 350 (ex) bimbi AFIS, affrettarsi per l'iscrizione, il viaggio è unico ed irripetibile.Ritirate il modulo d'iscrizione al sito www.italosomali.org alla sezione blog:
I BIMBI ITALIANI STRAPPATI ALLA SOMALIA.
Gianni Mari
Presidente ANCIS

venerdì 20 giugno 2008

17 giugno 2008 pagina 36 sezione: R2


I bimbi italiani strappati alla Somalia

Sono passati 58 anni: l'Italia è pronta a riconoscere i propri torti e a offrire compensazioni a chi ne ha subito le conseguenze, ma non ancora a chiedere scusa. È una storia che parte da lontano quella di Lucia, Gianni, Antonio, Mauro e di altre centinaia di persone come loro: quando la raccontano alcuni piangono ancora, come se fosse accaduta ieri. La storia è quella di un gruppo di bambini nati in Somalia durante gli anni dell'Amministrazione fiduciaria italiana del paese (Afis) da coppie miste: madri somale e padri italiani inviati lì come militari o funzionari. Quando avevano pochi anni i piccoli, con meticolosa regolarità, vennero portati via alle madri per essere allevati in collegi gestiti da religiosi italiani: dapprima in Somalia e poi, dopo la fine dell'Afis, in Italia. Di quel trauma, della separazione forzata dalle madri subita dopo l'abbandono da parte di padri che quasi mai li riconobbero, da anni gli ex ragazzini chiedono conto allo Stato italiano. Oggi un disegno di legge del ministero dell'Interno per la prima volta dà loro ragione, riconoscendo le "discriminazioni subite" e stabilendo un assegno vitalizio di indennizzo. Ma il provvedimento non basta agli italo-somali, che dallo Stato italiano vogliono, prima di tutto, delle scuse. "Era l'agosto del 1963 - ricorda Lucia con la voce che trema - io avevo 9 anni. Sbarcai a Genova e vennero a prendermi due suore, vestite di nero, pallidissime. Mi portarono in quella che per i 7 anni successivi sarebbe stata la mia casa: notai subito le sbarre ovunque e le porte chiuse. Era buio e freddo, nonostante fosse estate piena. Non so quando capii che ero finita in un carcere. Fu orribile: ero sola, non capivo perché fossi lì: mi ammalai di anoressia, non parlai per due anni. Poi un giorno decisi che dovevo reagire, altrimenti sarei morta. Non potrò mai dimenticare". Lucia non vuole che si scriva il suo cognome, né la città dove vive: oggi che è adulta sa che non aveva fatto nulla per finire in carcere minorile da bambina, ma preferisce continuare a tenere nascosti i fantasmi del passato. Le cronache del tempo raccontano che negli anni dell' Afis - fra il 1950 e il '60 - le relazioni miste erano una questione ben nota alle autorità italiane: «Non esagero dicendo che la maggior parte ha la madama, qualcuno anche sposato», scriveva nel 1951 riferendosi agli italiani di Somalia l' arcivescovo di Mogadiscio, Venanzio Filippini. Da quelle relazioni nacquero centinaia - almeno 600 secondo i documenti dell' epoca - di bambini, tutti con un destino segnato: «I funzionari italiani arrivavano dalle nostre madri quando noi avevamo uno, due anni - racconta Gianni Mari, presidente dell'ANCIS, associazione italo-somali - il discorso era sempre lo stesso: il bimbo avrebbe avuto un destino migliore con gli italiani. Promettevano un' educazione, un lavoro futuro, cibo tutti i giorni. E le nostre madri, giovani e allontanate dalle comunità per aver avuto una storia con uno straniero, dicevano sì». Così la maggior parte dei bambini figli di coppie miste finì nei collegi cattolici della Somalia, dove venivano battezzati ed educati secondo i programmi scolastici di Roma: «Dovevamo parlare solo italiano, dimenticare la lingua delle nostre madri e il loro paese. Non c' era nulla a ricordarci l' altra metà di noi. La nostra parte somala doveva semplicemente sparire», ricorda ancora Mari. Nel corso degli anni le madri diventavano fantasmi lontani mentre i padri spesso non erano mai esistiti. La storia andò avanti così fino alla fine del mandato italiano in Somalia: di lì in poi si pose il problema di rimpatriare i minori, ormai sradicati nel loro stesso paese. «Arrivammo in Italia. Soli. Qui scoprimmo che non eravamo neanche italiani: la maggior parte di noi era apolide, perché senza riconoscimento paterno non c' era nazionalità. Eravamo malvisti nei collegi religiosi, perché considerati bastardi e in più di pelle scura. Subimmo insulti razziali, violenze, soprusi, pedofilia. Chi di noi ne è uscito è una persona forte. Ma molti non ce l' hanno fatta: si sono suicidati o sono in preda alla depressione», conclude Mari. Oggi, a distanza di quasi 60 anni, lo Stato è pronto ad ammettere per la prima volta la propria responsabilità per le sofferenze della signora Lucia, del signor Mari e di centinaia di bambini come loro. Lo fa con l' ufficialità di un disegno di legge firmato dal Viminale: un risultato importante paragonato ai decenni di silenzio. Un risultato che però non basta a molti dei protagonisti di questa storia. «Pretendo che ci si chieda scusa», dice Antonio Murat, 59 anni. Il signor Murat è uno dei pochi "fortunati" che alla nascita fu riconosciuto dal padre e porta il suo cognome. «Mi portarono in collegio in Somalia che avevo 3 o 4 anni - racconta - mio padre mi riconobbe, ma non fu mai presente. Venni in Italia da solo, quando diventai maggiorenne, e poco dopo mia madre morì, senza che l' avessi rivista. Dei soldi non mi importa nulla, ma qualcuno deve chiedere scusa a me e a lei per averci divisi». La voce di Antonio si incrina, dal portafoglio tira fuori una vecchia foto in bianco e nero: è la mamma, giovanissima e bellissima. «Io invece voglio tutto, voglio anche i soldi - interrompe Mauro Caruso - e di una pensione minima Inps, come quella che prevede la legge (500 euro circa, ndr) non so cosa farmene». Il signor Caruso si presenta come «un italiano con la pelle di pigmentazione scura». In lui, il dolore che in Murat è sfociato in malinconia si trasforma in rabbia: a differenza di molti altri italiani, suo padre non fece mancare nulla alla compagna somala e ai quattro figli avuti da lei. Compresa la cittadinanza italiana. Ma un giorno morì e alla porta suonarono i funzionari di Roma: il fratello e le sorelle di Mauro furono portati in Italia. Lui, che aveva un anno, rimase con la madre fino al 1974 quando fu costretto a partire a suo volta. «Entrai in collegio a Roma e ne uscii a 18 anni: ero solo. Mia madre era in Somalia, i miei fratelli erano estranei di cui non ricordavo nulla. Avevo sulle spalle un carico di soprusi che avrebbe potuto trasformarmi in un killer: invece ho fatto mille lavori, ma la mia fedina penale è sempre rimasta immacolata. È l' unica cosa bianca che ho», conclude tagliente. «Erano ragazzini rifiutati sia dall' uno che dall' altro lato», ricorda Don Antonio Allais, sacerdote torinese che negli '70 assunse la patria potestà di decine di piccoli apolidi di origini somale e imbastì cause su cause perché fosse riconosciuta loro la cittadinanza italiana. Le vinse, regalando ai suoi protetti un' identità su cui cominciare a costruirsi una vita: «Ma un passaporto non sana le ferite: restarono degli sradicati, senza affetti e trattati male da tutti». Negli anni, il caso degli italo-somali è rimasto a galleggiare nelle pastoie della burocrazia italiana: qualche interrogazione parlamentare negli anni '60, lettere degli ex bambini alla presidenza della Repubblica e al Parlamento europeo. Carte bollate, promesse e nessun fatto, fino a quando due anni fa il Comitato contro la discriminazione e l' antisemitismo del Viminale non decise di prendere in mano il loro dossier e, dopo decine di controlli e audizioni, mise a punto il disegno di legge sugli indennizzi: «Lo Stato è arrivato tardi - ammette il prefetto Mario Morcone, presidente del Comitato - speriamo con questa legge di rimediare almeno in parte alle sofferenze». La speranza del prefetto lo scorso anno è andata frustrata, perché non i due milioni di euro necessari per dare copertura finanziaria al disegno di legge non si trovarono: Morcone è pronto riprovare a settembre, quando si comincerà a discutere della prossima finanziaria. Come tutti, la signora Lucia spera che i soldi vengano fuori, ma per lei è chiaro che questo non basterà a chiudere i conti con il passato: «Voglio delle scuse per chi ha vissuto la mia stessa storia e si è suicidato. Per chi è depresso. Per le nostre madri, stritolate da questa vicenda quando erano poco più che bambine. Per i nostri figli, che non devono vederci come dei bastardi. Un misero foglio di carta in cui si parla di soldi e non di responsabilità di certo non mi basta».
- FRANCESCA CAFERRI -
pagina 36 sezione: R2


martedì 17 giugno 2008

Ci siamo. Bisogna fare i conti con il passato, dunque ora vogliamo le scuse.

Era il 1° Aprile 1950, cominciava l'Afis, cominciava un'infamia celata per 58 anni. Celata, ma gli artefici, non c'è l'hanno fatta a portare a termine il programma di annientamento, anzi...
La vicenda ora ha preso un altra piega. Nei pochi casi analoghi successi in altri paesi si stanno facendo i conti con il proprio passato ora tocca all'Italia. E' stata una lunga lotta intrapresa dall'Ancis a portarci a questo risultato e a questo punto. Non è stato facile, abbiamo subito umilianti attese, ci siamo scontrati con gente che non voleva sentire ma che già sapeva e così via. Ora è chiuso un capitolo e ne apriamo un altro che non ha scusanti e qui lo dico in modo chiaro netto in modo tale che tutti capiscano e non ci siano fraintendimenti.
Il ruolo dello Stato italiano in questa vicenda non ha e non corrisponde a reale volonta di soluzione alla vicenda. La grave emergenza che abbiamo posto deve avere una fine. Ancis per ritenere la faccenda conclusa soddisfacentemente deve ricevere dal governo italiano FATTI concreti, misure e azioni a soddisfare le giuste esigenze dei soggetti coinvolti, degli eredi di chi non c'è più e soprattutto l'inclusione delle mamme che hanno subito le peggiori umiliazioni.
Qui c'è lo steaming della trasmissione di TV La Repubblica:
Noi, somali italiani(17 giugno 2008)
Quaranta anni dopo, parlano i figli meticci degli italiani in Somalia. Senza patria e senza famiglia. A metà fra passato e presente. E senza futuroIn studio a Roma Francesca Caferri, la Repubblica, Gianni Mari e Antonio Murat. In collegamento telefonico lo storico Angelo Del Boca. Conduce Edoardo Buffoni.

lunedì 16 giugno 2008

E venne l'ora ............




Domani 17 Giugno, il quotidiano La Repubblica pubblicherà l'ARTICOLO.

Interessante articolo, di cui non vi anticipo nulla, in quanto, prima di essere pubblicato sembra che abbia già innescato una serie di slavine che stanno diventando valanga.
Il merito del giornale è che sta pubblicando e proponendo qualcosa che era sotto gli occhi di tutti ma che .... sembra era invisibile. Il merito di Ancis è stato quello di portare caparbiamente avanti con costanza un ingiustizia e un indiscriminazione contro dei cittadini italiani in un epoca che non era più quella coloniale e fascista ma con un regime internazionale e in piena Repubblica.

E' chiaro che non possiamo e nessuno può chiedere che la dignità umana calpestata e le vite guastate siano riassemblati; nessuno ci potrà ridare più i nostri fratelli/sorelle che abbiamo perso per strada, nessuno ci renderà coloro che sono morti, nessuno potrà aiutare ne lenire le sofferenze dell'animo e della psiche. Umilmente insieme ci daremo animo e forza. Dobbiamo capire che ci possiamo aiutare fra di noi e il gruppo dirigente Ancis confida in questa forza che noi italosomali abbiamo.
Nel precedente articolo nel blog vi chiedevo di serrare i ranghi e che vi avevo anticipato una "notizia" che cambierà la Comunità degli italosomali. Il momento è arrivato. Ringraziamo la redazione completa di La Repubblica e in particolar modo Francesca Caferri e ringraziamo tutti i ragazzi che hanno contribuito giorno dopo giorno a questo ripristino della verità comune e del buonsenso. Un caro saluto a tutti.
Gianni Mari

giovedì 12 giugno 2008

Dopo l'Australia, il Canada chiede scusa ai nativi.

Lo Stato Canadese fa scuse con un discorso del premier in Parlamento, sono stati stanziati fondi per 2 miliardi di dollari da destinare a ex studenti e discendenti dei nativi. "Risarciremo abusi e violenze". Un'inchiesta scoprì che in oltre 100 istituti avvenivano soprusi fisici e sessuali con più di 150 mila vittime. I bimbi venivano tolti alle famiglie e costretti all'integrazione.
Dopo le storiche scuse australiane (http://youtube.com/watch?v=uERSO_9M75k) e le precedenti scuse del governo norvegese con una causa in corso presso il tribunale dei diritti umani per i cosidetti "figli di Hitler, ora si aggiungono anche le scuse canadesi. E' un risveglio della coscienza di Stati che si sono macchiati di crimini che incidono sui diritti fondamentali della persona (chiunque essa sia) e come tali non suscettibili di nessuna prescrizione perchè un atto di annientamento verso un altra persona è il peggior crimine che un uomo possa compiere e questi crimini, purtroppo, sono successi.
Frammenti di vite spezzate a cui oggi il governo del Canada, per bocca del Primo ministro Stephen Harper, chiederà ufficialmente scusa. Non solo. Per 90 mila di loro, tra cui figurano sopravvissuti e discendenti, riceveranno un risarcimento, 2 miliardi di dollari.
Il vento è cambiato e sta cambiando per molti Stati che hanno avuto questo comportamento.
In questa vicenda il cambio lo si intuisce dalla dichiarazione del ministro degli Affari Indiani, l'attuale, Chuck Strahl: "E' un rispettoso e sincero riconoscimento di un'estesa devastazione culturale, che ha compreso traumi fisici, abusi sessuali, e continua a perseguitare quelle generazioni anche oggi". L'atto ha seguito di pochi mesi quello del governo australiano nei confronti degli Aborigeni. Ma il Canada è andato più in là, e oltre alle scuse ufficiali ha aggiunto un risarcimento economico. A occuparsi del compenso sarà una commissione creata con parte dei 4,9 miliardi di dollari, cifra più alta della storia del Paese, raggiunta al termine di un accordo tra governo, confessioni religiose e rappresentanti indigeni, al termine di una class action promossa dai nativi. Riceveranno un risarcimento tutti gli studenti delle scuole incriminate, mentre un'ulteriore somma andrà alle vittime di abusi sessuali. A coordinare la commissione sarà Harry LaForme, primo e unico aborigeno a essere nominato giudice di Corte di Appello. LaForme viaggerà attraverso il Paese per ascoltare storie di studenti, insegnanti e testimoni e per educare i canadesi sul "lato oscuro della storia del Paese".
Le comunità indigene puntano il dito verso il programma di colonizzazione, non solo culturale, e lo ritengono alla radice degli alti tassi di suicidi e di dipendenze da droghe e alcool che affliggono le loro comunità. Nonostante le minoranze etniche siano trattate relativamente bene in Canada, rimangono la parte più povera e svantaggiata del Paese.
Stasera il Canada si fermerà. Maxi-schermi sono stati allestiti in molte città per seguire il discorso di riconciliazione del primo ministro. Il Parlamento fermerà tutti i lavori. C'è grossa attesa anche tra le associazioni dei nativi, che oggi sono più di un milione. Alcuni di loro, soprattutto Inuit (quelli che un tempo venivano chiamati eschimesi, termine oggi considerato dispregiativo) e Metis (discendenti di famiglie indiane incrociate con europei), protesteranno perché i risarcimenti vengano allargati alle persone escluse perché le loro scuole non fanno parte della "lista nera".
Fra non molto ne vedremo delle belle su questo argomento ......

martedì 10 giugno 2008

E' il momento di serrare le fila.


C'è un momento che una persona pensa a quel che è successo e rivede i fotogrammi come un film già visto.
Memorizzi azioni e dici tra e te, conosco questa strada, ho già posato il piede in quella data maniera, ora vedrò una macchina o un volto noto che già avevo visto in quella precisa espressione etc.
Ho fatto questa introduzione per arrivare al nocciolo della questione.
Insieme a tanti compagni, amici, fratelli e sorelle italosomali il 4 Luglio 1996 abbiamo fondato l'ANCIS.
Era il punto di partenza ambizioso e che partiva da un presupposto altrettanto più ambizioso:
fare casa comune, rappresentare la nostra cocciuta solitudine in modo collettivo e cercare di saltare insieme gli ostacoli che inconsapevolmente gli italosomali pongono fra loro e con gli altri.
Gente magnifica gli italosomali: intelligenza poderosa (magari si perde in mezzo bicchiere d'acqua), carattere chiuso (derivante anche dalle mille difficoltà), litigiosità permanente, permalosità chilometrica, sospettosità impareggiabile etc etc., ma nonostante tutto ciò, e memori degli errori avvenuti nel passato (per esperienze similari intraprese anni fa ma sempre fallite) siamo andati avanti in questo progetto veramente innovativo per la Comunità.
Eccoci qui ora, dopo 12 anni e tanta esperienza acquisita direttamente nei campi di battaglia. Qualche risultato, possiamo dire, lo abbiamo raggiunto. A questo proposito nei prossimi giorni comunicheremo direttamente l'EVENTO che inciderà profondamente sulla Comunità, tuttavia, nel contempo bisogna chiaramente dire che è necessaria una crescita mentale e porre fine a sterili disfide o malcelati calcoli che non hanno più ragione di esistere né di essere. Bisogna prendere atto che gli italosomali della nostra generazione hanno la particolarità unica di essere nati in un contesto storico irripetibile. Siamo un unicum non paragonabile con altre realtà di meticciato di tutto il mondo: noi non apparteniamo alla patria materna (vista la patrinimicità di cui si fa uso in Somalia) né a quella paterna (vista la considerazione di fondo che ha la società italiana a considerarci neri); non abbiamo una cultura specifica da sviluppare, parliamo due lingue che ci appartengono (molti neanche tutt'due) e non ci appartengono, abbiamo una religione imposta, abbiamo tante volte cognomi non nostri ma per contro siamo un'etnia che ha una precisa data di partenza cioè dall'arrivo dell'Italia in Somalia (ed è questo il preciso contesto storico), sappiamo chi era e chi è stato il primo meticcio maschio (1911) e la prima femminuccia (1912).
A seguire nel tempo c'è stato l'incremento crescente degli italosomali; il fascismo e le sue leggi razziali; i collegi; la guerra e la sua fine; i collegi ancora; la fine del colonialismo ma non la fine del razzismo, altri collegi etc. etc.
Questa è la pecularietà unica ed irripetibile a cui mi riferisco sempre. Non la trovate da nessuna altra parte. E' solo nostra.
Quelli che sono nati dopo l'indipendenza ci sono perché sono nati da un atto di amore fra due persone che si sono scelte e si sceglieranno ma non hanno nulla a che fare per il vissuto con la nostra generazione, la generazione del ceppo d'origine degli italosomali.
Partendo da quel punto Ancis si è battuta per arrivare a far quadrato nella nostra peculiarità. Ci siamo riusciti, caparbiamente, a tracciare una linea da seguire e, se oggi ci sono evidenti risultati che ci fanno dialogare con le istituzioni, i mass media e le organizzazioni preposte vuol dire che c'è gente che si è sacrificata per raggiungere questi obiettivi. Questa gente ha speso il proprio tempo libero, ha rinunciato alle proprie ferie, ha speso di tasca propria le trasferte per raggiungere lontane località etc etc.
Quello che vi chiediamo è semplicemente il vostro sostegno e chiediamo di contribuire tangibilmente questo sostegno con il versamento delle quote associative che sono annuali e che per quest'anno ammontano a 50,00 €. Il Conto Corrente ANCIS su cui effettuare il versamento postale è questo: C/C 87320222, per il bonifico postale utilizzare le seguenti coordinate:
IT 82 C 07601 03200 000087320222
Dobbiamo raggiungere tutti, di conseguenza tale quota scenderà a 25,00 € l'anno prossimo. Chiarisco in maniera netta che questa è la quota associativa ANNUALE di ANCIS che va a ANCIS e nessun altro, punto.
Il gruppo dirigente Ancis vi chiede di lasciar perdere dietrologie inesistenti e cominciamo veramente il "percorso". Ci guadagniamo tutti sicuramente a confrontarci lealmente e collaboriamo a raggiungere ogni traguardo possibile INSIEME.
Grazie a tutti e a risentirci.
Gianni Mari

lunedì 26 maggio 2008

Razza Partigiana



Ufficio per la valorizzazione della Memoria di Roma

La newsletter della Memoria

Questo ultimo numero della Newsletter della Memoria conclude il lavoro svolto negli ultimi cinque anni dall'Ufficio del Consigliere del Sindaco per la Memoria Storica. La data del 25 aprile con uno scritto di Luigi Stanziani su un protagonista poco conosciuto e molto significativo della nostra liberazione.

LA LIBERAZIONE - 4 Giugno 1944 Liberazione di Roma
25 Aprile1945, Liberazione del territorio italiano dai nazi-fascisti

Due date fondamentali nella storia della nostra città e del nostro paese. E' giusto e doveroso ricordarle sempre e comunque. Quest'anno vogliamo farlo attraverso la storia di Giorgio Marincola, nostro giovanissimo concittadino, unico italo-somalo decorato con medaglia d'oro al valor militare. Giorgio Marincola nasce a Mahaddei Uen (Somalia) nei pressi di Mogadiscio (capitale della Somalia, allora colonia italiana), il 23 settembre 1923 da Giuseppe, ufficiale di fanteria, e una donna del luogo, Ashkiro. Suo padre non sposò mai la madre perché le leggi razziali proibivano i matrimoni misti, obbligando molti militari italiani ad abbandonare le famiglie o a sottrarsi al controllo dello Stato italiano. Secondo il manuale del fascista "l'incrocio fra due razze è nocivo ad entrambe. Il prestigio di razza non si mantiene, se viene mischiato il sangue". Giorgio si trasferisce presto a Roma con il padre e con la sorella. La sua adolescenza di italo-africano non deve essere stata facile in un'epoca in cui, citando ancora il manuale: "il meticcio è un essere moralmente e fisicamente inferiore, facile vittima di gravi malattie e inclinato ai vizi più riprovevoli." Frequenta il liceo Umberto I, dove ha tra i professori Pilo Albertelli (al quale poi è stato intitolato il Liceo) che influenza profondamente lui e i suoi amici, fondando il Partito d'Azione nella capitale e organizzando la lotta partigiana, fino alla sua uccisione alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944. Nel 1941 Giorgio si iscrive all'Università per specializzarsi in medicina tropicale e tornare in Somalia, ma non ha modo di concludere gli studi. È attivo nel Partito d'Azione, partecipando alla sfortunata difesa di Roma nel gruppo Giustizia e Libertà, inserito nella terza zona (Parioli-Nomentano-Salario). Le azioni sono quelle classiche: sabotaggio, propaganda, attacchi notturni alle truppe tedesche, trasporto di armi.
Si unisce poi alle formazioni partigiane operanti nel Viterbese. Il 4 giugno finalmente Roma è libera. Giorgio Marincola però decide di continuare la lotta al nord e si arruola, col grado di tenente, nella "Special Force" del Comando alleato. Nell'agosto 1944 viene paracadutato in Piemonte. Il "Tenente Giorgio" (utilizzerà anche gli pseudonimi di Marcuzio, Mercurio e Marino, dal cognome di uno zio col quale era cresciuto), organizza nel biellese azioni di sabotaggio e attacchi contro le forze nazifasciste. Rende preziosi servizi nel campo organizzativo e in quello informativo; partecipa a numerosi scontri a fuoco rimanendo anche ferito e dimostrando ferma decisione e notevole coraggio. È catturato dai tedeschi il 17 gennaio 1945, nei pressi di Zimone (BI), mentre ritorna da una missione a Milano per conto dell'organizzazione "Franchi". Portato a Biella presso Villa Schneider, "Marino" è costretto a parlare alla nazifascista "Radio Baita". Gli chiedono cosa sia per lui, africano, la patria. Nonostante le torture subite, risponde in modo esemplare. "Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La Patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori". Dopo una dura prigionia, liberato da una missione alleata, rifiuta di porsi in salvo attraverso la Svizzera e impugna ancora le armi, insieme ai partigiani trentini. Muore presso Castel di Fiemme (Tn) il 4 maggio 1945, cioè 10 giorni dopo la data che festeggiamo come Liberazione, scontrandosi con un reparto di SS in ritirata che, a Stramentizzo, attua l'ultima strage nazista in Italia (27 massacrati tra patrioti e civili inermi). La motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare, dice: "Giovane studente universitario, subito dopo l'armistizio partecipava alla lotta di Liberazione, molto distinguendosi nelle formazioni clandestine romane per decisione, per capacità, per ardimento".
Nel gennaio del 1946, l'Università di Roma ha conferito alla memoria di Giorgio Marincola la laurea ad honorem; aveva 22 anni.
Il Comune di Roma nel 2006, su proposta dell'ANCIS, ha individuato e delimitato a Cesano, tra Via Fosso degli Arcacci e Via Giuseppe Grecceva nel XX° Municipio, Via Giorgio Marincola.
Giovedì 26 giugno ore 20, presentazione di “Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola” edizioni Iacobelli (2008) con gli autori Carlo Costa e Lorenzo Teodonio. Il libro è una cronologia completa della breve vita di Giorgio. Gli autori sono andati alla ricerca negli archivi con un lavoro certosino di tutte le notizie che riguardavano Giorgio. E' una ricostruzione dell'ultima parte della sua vita e con i ricordi delle persone che lo avevano conosciuto.

venerdì 23 maggio 2008

Un brivido lungo la schiena .......

Più o meno c'eravamo, più o meno ce lo ricordiamo, più o meno il periodo coincide con i ricordi più belli e non vi dico il brivido che corre lungo la schiena ...............
http://www.youtube.com/watch?v=wO3HtSbaPGM&feature=email

http://www.youtube.com/watch?v=nuvU1DGm_zk&feature=email

......... è possibile che tutto ciò ora è distrutto?

martedì 20 maggio 2008

Sud Africa. Le fiamme della vergogna.

Il Nobel per la pace Nelson Mandela, il leader della lotta contro l'apartheid, figura carismatica nel Paese, ha lanciato un appello: "Ricordate da quali orrori veniamo, non dimenticate mai la grandezza di un Paese che ha sconfitto le sue divisioni. Non ripiombiamo in una lotta distruttiva". A Città del Capo, al solito come capita da un po di tempo, è stata presa di mira la comunità somala che gestisce una gran quantità di piccoli commerci. I disperati del continente africano che negli ultimi mesi avevano cercato un rifugio nel più ricco Paese del continente a caccia di un lavoro o di fortuna cercano disperatamente di mettersi in salvo, 22 morti e 50 feriti a Johannesburg, all'inizio la polizia ha evitato di intervenire, ma quella che sembrava una delle tante risse tra poveri, presto si è trasformata in una rivolta a sfondo xenofobo e razziale e c'è un fugga generale degli emigranti dopo le violenze cominciate sabato. Tra i morti e i feriti ci sono uomini e donne dati alle fiamme, fatti a pezzi a colpi di machete, massacrati a bastonate, linciati con pietre e mattoni. Almeno 5/6 mila persone hanno cercato rifugio nelle chiese e nelle stazioni di polizia. Sono soprattutto cittadini del Malawi dello Zimbabwe, perseguitati dalla fame e minacciati dalla violenza politica, gente scappata da una crisi economica senza precedenti. L’ondata xenofoba non risparmia nessuno: nigeriani, congolesi, pachistani. Gli stranieri, come sempre accade (Ponticelli docet), sono accusati di deliquenza e di portar via gli affari, il lavoro. Fanno da capro espiatorio e scontano gli effetti della crisi sociale ed economica che ha colpito il Sudafrica dove la disoccupazione ha raggiunto il 30 per cento, il costo della vita è salito vertiginosamente, non si trovano case, la criminalità è aumentata in maniera esponenziale e il divario tra ricchi e poveri è diventato impressionante. Il presidente sudafricano Mbeki ha annunciato un’inchiesta «per capire cos’ha provocato l’ondata di violenza». Zuma, presidente del partito al potere, l'ANC e futuro candidato alla presidenza l’anno prossimo, è andato giù pesante con dichiarazioni che hanno marcato la distanza politica che separa i due uomini: «Dobbiamo vergognarci del nostro comportamento. Noi sudafricani durante l’apartheid abbiamo trovato rifugio in Paesi stranieri e siamo stati trattati benissimo. Chi scappa da condizioni disperate deve essere accolto con comprensione». Una stilettata a Mbeki. Il presidente sul problema dello Zimbabwe – Paese precipitato nel barato di una terribile crisi economica grazie al dittatore Robert Mugabe - ha sempre tenuto un atteggiamento conciliante, mentre Zuma ritiene che debba essere risolto al più presto perché destabilizza il mezzogiorno del continente. Il premio Nobel per la Pace, il vescovo Desmond Tutu, si è rivolto alla popolazione. "Vi prego", ha detto alla radio, "fermate subito queste violenze. Quelli che attaccate, che uccidete, che violentate, sono nostri fratelli e sorelle. Anche noi siamo stati aiutati da altri africani, abbiamo sofferto, sappiamo cosa significa fuggire dalla miseria. Noi stiamo uccidendo i loro bambini. Fermatevi, vi imploro: non possiamo disonorare le nostre conquiste. Stiamo di nuovo tornando agli anni delle catene e dei collari".

mercoledì 14 maggio 2008

Colonialismo. La verità nascosta dietro al peloso buonismo.


Peccato. Peccato veramente che i libri di storia italiana ci insegnino tutto sulle guerre puniche, sui cartaginesi, di Ciro il Grande, della civiltà egizia, greca, romana: stranamente però, la storia dopo il rinascimento sui nostri libri è molto scarsa o i programmi scolastici non arrivano alla dissamina di questo periodo importante della nostra storia recente. E' sotto completo silenzio il periodo delle colonizzazioni o la storia più recente del 1900. Abbiamo, ultimamente, un preludio di pubblicazioni riguardanti il glorioso ventennio fascista, come a dire una rivalutazione o meglio una rilettura pro mussoliniana e Salò-niana. Abbiamo già delle "autorevoli" voci e pronunciamenti a voler rivedere la storia più tragica e atroce dell'Italia moderna sui libri di testo.
Nelle edicole, nelle librerie, nelle bancarelle c'è una ampia serie di pubblicazioni, riviste, enciclopedie, collane di raccolta che vogliono ricordarci "anche i lati positivi” della colonizzazione in modo più o meno vistoso del mito degli italiani brava gente.
Il Presidente francese Sarkozy, diretta espressione della destra, presidente di un paese europeo privo del peccato originale che tocca a noi italiani cioè il fascismo, con tradizioni coloniali molto più antiche, consolidate e con ampi possedimenti coloniali tutt'ora il 10 Maggio 2008 ha dichiarato: “ Dobbiamo avere il coraggio di parlarne per farci carico della nostra storia. Il periodo coloniale e l'abolizione della schiavitù sono stati spesso vissuti come storie esterne, stavo per dire periferiche. Eppure, fanno parte in maniera intrinseca della storia francese. Di questa storia dobbiamo poter dire tutto.
Chapeu, Monsieur le president!! e non solo, ha anche proposto di insegnare ai bambini fin dalle elementari cos'è stato il colonialismo a la schiavitù. Un gesto di apertura totale a tutte le organizzazioni che difendono l'importanza di una rilettura della storia francese. Ha deciso, inoltre, che d'ora in poi il 23 Maggio sarà la giornata delle celebrazioni di quest'evento che ricorda la tragedia della schiavitù e del colonialismo.
Nel 2006, Parigi ha votato una legge per la memoria dei milioni di schiavi deportati, citandola come “crimine contro l'umanità”. In Italia, diversamente, andiamo verso un'improvvisa voglia di voler scrivere il passato recente sotto altre vesti e forme. Un voler interpretare e dettare forme ufficiali inclusive nei testi di storia. Inaudito.
E' necessario contrastare civilmente questa inciviltà della rappresentazione della storia per compiacere la parte politica vincente del momento.
Va ricordato SEMPRE che questi sono crimini contro i diritti fondamentali della persona e come tali non suscettibili di prescrizione dunque non possono essere soggetti al dimenticatoio. Sono crimini incancellabili. Non può esistere la formula assolutoria della “brava gente”. Diversamente deve esserci il riconoscimento storico di questa dramma anche da parte italiana e creare una giornata per ricordare questi sciagurati eventi.
Questo sarà un argomento da approfondire seriamente prossimamente.

giovedì 24 aprile 2008

Cosa significa essere italo-somali? Cosa significa sentirsi italo somali? Cosa s'intende con questa definizione? I sentimenti, il pensiero, il punto d

Gianni: Chi non fosse italosomalo, potrebbe pensare che la domanda sia insignificante, di poca attrattiva e passionalità. Non è così in realtà. Uso un banale esempio stradale. E' difficile, si pensa, viaggiare -"tutta la vita"- nella corsia di mezzo senza nessuna possibilità di portarsi nella corsia di sorpasso o di marcia normale, "gli altri" continuano a lampeggiare e suonare il clacson, sempre. Ci sarà, sempre e comunque, chi ti ricorderà che tu non SEI nella corsia giusta…Lo pensano gli altri tutto ciò senza tenere conto del pensiero del tipo in mezzo alla corsia. E' un grave errore culturale. Il confronto fra culture é una questione complessa, cosa peggiore è addiritura chi cultura propria non ne ha.
Sono moltissime le argomentazioni per aprire un dibattito sul tema. Entriamo brevemente nel merito cominciando da quanto e stato generato dal colonialismo (qualunque esso sia), i problemi del tema “ibridità”, creolizzazione, meticciato, contaminazione, incroci e identità. Dal punto di vista di entrare nel merito della questione ovviamente prevale la singola storia d'ognuno, i suoi ricordi, la sua famiglia(?) qualcuno neanche questi esempi.
Uno parla bene anzi benissimo una lingua, sicuramente qualche genio farà pesare questa conoscenza, diversamente uno non parla o non capisce un altra lingua del suo "io" e altri faranno notare l’anomalia della tua “non conoscenza”. E' un esempio banale ma continuamo.
Sei stato allevato in una religione che un tuo genitore non condivide e t'accorgi che sei differente perché i tuoi parenti ti danno una padella tutta tua per non far contaminare le loro stoviglie dalla tua fettina di maiale o di prosciutto. Sei più chiaro di carnagione da coloro che ti circondano nella vita quotidiana, dunque, automaticamente sei anomalo. Non è che dall'altra parte stai meglio, sei più scuro e i conti nuovamente non tornano perché automaticamente sei anomalo. C'è sempre al dunque qualcosa fuori posto, in ogni modo vada la situazione contigente. Il destino ci ha assegnato un ruolo di perenne disordine, non noioso certamente.
Di per se questa è la nota giusta della vicenda, il disordine dell'ordine.
Letta così superficialmente, essere italo-somalo, potrebbe e può sembrare una serie infinita di fraintendimenti anche buffi. Non è così. Si agitano e diventano presenti due identità contrapposte e agli antipodi, mediare fra le due identità è un lavoro. In psicologia esiste una patologia della psiche conosciuta come sindrome della doppia personalità, vale a dire in un unico individuo possono esistere raggruppamenti psichici, in grado di mantenersi relativamente indipendenti tra loro, di "ignorarsi" a vicenda, i quali possono provocare una "scissione" della personalità lungo linee da loro fissati, le persone "comuni" usano lo sdoppiamento, più o meno patologico, come rimedio per scappare da una realtà arida e soffocante e dai labili punti di riferimento. Nel nostro caso - normalmente senza patologia psicologica -, consciamente dobbiamo ricorrere alla doppia identità. Assumiamo l'identità consona ai nostri interlocutori sia che essi sono somali o italiani e, con tutti gli altri siamo delle normalissime persone con una propria identità. Questo cambio d'identità subentra con naturalezza non per necessità opportunistica o ha finalità diverse. Il nostro essere italosomali deriva da un unicum universale che non ha simili né eguali nel mondo, è il risultato della sommatoria dell'ambiente sociale in cui siamo nati e cresciuti.
La società somala è patronimica perciò un figlio appartiene al "qabil clan" del padre al suo "rer", "laf", "tool" ecc, dunque noi non apparteniamo ai clan/tribù somale in quanto figli di padri italiani, inversamente in Italia siamo considerati degli "oriundi", dunque cittadini italiani per nazionalità o documenti ma mai "considerati" del tutto italiani. Questo capita esclusivamente agli italosomali e non ai francocamerunensi, agli angloghanesi, ai germanoturchi o qualunque altro tipo di meticci. Non c'è per nessuno di questi meticciati un background culturale così complesso, codificato comportamentalmente, variegato e diversificato come capita solo a noi italosomali.
Alla fine tuttavia rimane la fragilità degli esseri umani e, al dunque, bisogna avere un carattere ed una tempra fuori dell'ordinario per gestire le avversità che "gli altri" cercano di evidenziare con la nostra "presunta diversità" non pensando invece alla nostra ricchezza.
Questa “presunta diversità” è un valore aggiunto che rende più forti o molto più deboli - fattore che molti non hanno compreso appieno - . In questo mio scritto vorrei citare affettuosamente i più fragili ed esposti perché fra costoro, ho perso molti fratelli, sorelle, amici, amiche in modo tragico. Si erano rifugiati nell'alcool, si sono uccisi e si stanno uccidendo, si sono alienati dalla loro mente impazzendo, si sono lasciati andare alla deriva dai loro corpi riducendosi a barboni e, molti hanno tutt'ora incubi ricorrenti e angoscianti attinenti le loro infelici infanzie, anche se hanno superato il mezzo secolo di vita:
forse ciò perché qualcuno aveva prospettato, a questi amici/amiche, una vita differente, serena, pacifica, tranquilla, senza problemi. Forse perché non avevano un ego forte, in quanto, strappati agli affetti materni e buttati in un collegio fin dalla loro infanzia. Perché nel cammino della vita venivano a mancare le certezze e aumentavano i dubbi. Pensavano d'essere Tizio e invece erano Caio; forse, forse, forse…… Sicuramente, con tanti forse, l'unica certezza è che sono stati traditi.
Il tema e l'argomento hanno contenuti forti e l'ho voluto affrontare con altri, trovando conferme, certezze e testimonianze (al momento è tutta femminile) di giovani italo-somali. Nel frattempo gli italosomali sono stati affiancati dagli "somalitalo"(fatto positivo), l'evoluzione inversa.
Quest'ultimi, affrontano anch'essi in maniera prepotente lo stesso pensiero: persone divise e diverse ma … con una prospettiva differente ma, egualmente da considerare e capire.
Di quanto sto scrivendo conta sopratutto l'età delle persone per comprendere l'io dell'italo-somalo, un tempo che abbraccia periodi ed epoche diverse, situazioni storiche, periodo coloniale, post-coloniale. E' ovvio che forme pesanti d'inquinamento razzista messe in atto, e diffuse dalla propaganda coloniale liberale del primo periodo, con prassi e con comportamenti 'immaginari' dei coloni e degli amministratori, così come degli italiani in patria, i pochissimi bimbi italosomali dell'epoca dovevano necessariamente avere una forte tempra. Il fascismo, in seguito, aveva istituzionalizzato il più grande progetto di discriminazione razziale mai messo in atto in una colonia, e l'antropologo L. Cipriani ne era l'ideologo più autorevole. Cipriani, sottolineava la simbiosi tra antropologia e prassi politica razzista all'indomani della proclamazione dell'impero, pubblicando sul Corriere della Sera un articolo dall'inequivocabile titolo "L'antropologia in difesa dell'impero" (16 giugno 1936). Nel 1937, il regime fascista diede l'ordine di "combattere l'ibridismo di razza facendo apparire come inferiori fisicamente e moralmente le razze di colore" ovviamente anche gli ibridi generati da costoro. Infine, Lidio Cipriani, uno dei tanti firmatari del Manifesto della razza del 1938, cercò di dimostrare, nella lotta contro il madamato, come i meticci fossero inevitabilmente predisposti alla degenerazione, e che dunque fosse necessario salvaguardare il prestigio della razza latina e fascista. Ebbene quelle generazioni di italosomali non può pensare come la mia generazione degli anni cinquanta o dell'era AFIS o quella post indipendenza della Somalia, quello che conta è l'età dei soggetti e il contesto in cui si sono vissuti. E' complesso.
C.A.F.: Il primo pensiero che mi viene in mente quando penso all'essere italo-somala, è un vago ricordo che riemerge dall'infanzia. La sensazione continua a dover spiegare una parola, un atteggiamento e la consapevolezza che quella parola e quell'atteggiamento sarebbero state da tutti collegate alla mia parte "altra". Sarebbe stato bello che le stranezze peculiari a me, come a tutti gli esseri viventi, fossero state attribuite più ad un capriccio personale che al sangue di tuo padre o di tua madre. Così (dicevo) ricordo questa cosa buffa, mi guardavo allo specchio e pensavo "Chissà come ci si deve sentire ad essere tutta bianca o tutta nera?!". Tutto ciò pensavo, ma senza angustia e con gran leggerezza, perché in realtà mimetizzarsi ed avere una giustificazione bella e pronta, il più delle volte poteva risultare assai comodo! Come nel seguire certi precetti religiosi noiosi: avevi la mamma bianca che non ti aveva insegnato come si deve stare al mondo, quindi eri esonerata, grazie a Dio (Allah). Salvo poi passare la notte ad arrovellarsi per i sensi di colpa, sognando alternativamente prima l'inferno cattolico che, se pur temibile, prevedeva l'esistenza di un purgatorio, poi il naar, il fuoco eterno islamico.
Questi ragionamenti riguardano più l'essere ibrido in generale, condizione che il più delle volte, se anche vissuta con difficoltà nell'infanzia, diventa nell'età adulta una possibilità metamorfica, un farsi ponte, mediatore, decifratore dei misteri di due mondi.
Veniamo ora alle caratteristiche peculiari delle nostre due culture d'appartenenza, quella somala e quella italiana. L'italiana. Credo, soprattutto, di essere impregnata della sfera femminile di mia madre (italiana). Il mio desiderio pungente di proteggerla dal mondo esterno, di farla accettare dalle donne somale con cui non è mai stata in grado di comunicare. Credo che in questa re-invenzione della sua figura stia l'essenza prima delle mie caratteristiche femminili, la precisione, il pudore cattolico da una parte e dall'altra l'esuberanza e la passionalità delle sorelle di mio padre. Così ho tenuto in serbo una gran riservatezza. Mitigata fortemente dal desiderio di vivere l'intimità e la sfera femminile insieme alle altre donne, così come usavano le zie. Da mio padre ho invece bevuto la linfa del fervore ideologico, l'utopia della nascente nazione, della fratellanza e della liberazione dei somali.
Dopo la mia maternità precoce, la guerra e l'esilio sento dentro di me sopravvivere la sensazione di essere in grado di trasportare la mia casa e il mio guscio ovunque, attitudine al nomadismo atavica che riemerge e forse, chissà, mi è stata travasata dal sangue di mia nonna Barni.
M.I.B. continua: Che compito difficile ci hai dato!
Ho sviscerato pochi punti chiave, così senza rifletterci molto, vorrei approfondire con voi... tuttavia ciò che è venuto subito "a galla" è questo:
Per me essere italosomala significa avere un'identità un po' ai confini perché mi sento il frutto di una trama inscindibile creata da un passaggio storico breve, violento e rinnegato. Mi manca un senso d'appartenenza, vorrei essere capace di riempire lo "spazio interno" che collega le mie origini. I sentimenti che provo sono rabbia ed impotenza per "l'amputazione" legale, burocratica e di comunicazione nei confronti della Somalia e quindi le difficoltà che ho a tornare da papà e i miei fratelli. Forse non brillo per positività e ottimismo, ma se sentissi meno accesa e mi esprimessi in modo più quieto sarei rassegnata.
E.B., prosegue così: mi sento divisa tra due mondi, anche se il mio cuore è più vicino alla Somalia soprattutto perché sono nata a Mogadiscio...però mi sento anche fortunata e privilegiata perché sono il riassunto di due culture e attraverso di esse riesco a comprendere meglio sia la visione/pensiero degli italiani che quella dei somali...
M.I.B ritorna sull'argomento: considerando che le ferie sono un miraggio in un oasi di... lavoro ed impegni, faccio onore alla bella immagine figurativa di libro "bianco/nero" cercando di approfondire i concetti precedentemente espressi anche se non è facile perché riemergono vecchi ricordi intrisi di tenerezza struggente e tuttora irrisolti...
Come quella volta che in gita scolastica con le suore ho imbarazzato tutti esprimendo il desiderio di diventare bianca (chiedo venia, avevo sei anni e papà non era stato altro che una comparsa nella mia vita).
Tenerezza perchè papà allora era un ragazzino, anche lui senza mamma e papà, cresciuto dalle nonne e dalle zie che si è trovato a frequentare ingenieria a Ferrara ma l'Italia a volte ha le fattezze ed i colori del paese dei balocchi e... suvvia non fatemi raccontare, avete già compreso tutto.
Mamma, bella, ingenua, vent'anni, non so se sia stato il thé con il cardamomo ed i fiori di garofano o il profumo dell'unsi ma allora erano gli anni '70 e si credeva che tutto era possibile... pace, amore, giustizia.
Una favola pulita e profumata, sporcata dalla realtà ma che da cui sono nata io.
Io, che il desiderio infantile di diventare bianca si è tramutato in adolescenza in rifiuto della parte italiana (si chiama controdipendenza?), delle prevaricazioni occidentali, di tutti gli artifici di cui ci serviamo per compiere una vita, una vita che in Somalia scorre con un ritmo antico, ancestrale, interiore.
Che fatica arrivare a vent'anni e sorridere orgogliosa della mia pelle ambrata, perdonare mio padre, mia madre, il mondo, e aver voglia di ricominciare, imparare una lingua ostica, ricordarmi tutti gli antenati da darod a issa mahamud (pace di mio padre, me li ricorderò mai tutti?)
E aver voglia di raccogliere la sfida che sig.ra e sig. mamma e papà hanno accantonato, volere dare la possibilità a papà di ritornare e allo stesso tempo proteggerlo a spada tratta dai balocchi, e sentirsi vicina ai miei fratelli paterni che pure hanno perso la mamma….
Voglia di appartenenza, di imparare a fare i sambusa, di conoscere mia cugina in America perché ha la mia età e molte cose ci uniscono, di indossare il direh …
Essere italo-somali vuol dire molte cose…
E.S. amplia il tema: L'essere figli d'italiani e di somali in tempi passati voleva dire accusare i patemi di due razze con due culture e caratteri differenti, nel senso che uno era l'italiano fascista (irruente, scaltro, soggiogatore), l'altra la somala assoggettata ( semplice, ingenua, illetterata, imperita).
I sentimenti, i pensieri, i punti di vista degli italo-somali sono legati a quelle complicazioni che ci furono inculcate sin dalla più tenera infanzia tutto ciò collegato ad una sequela di circostanze, fatti ed avvenimenti.
Da un lato suore, preti e genitori paterni ci hanno indottrinato, ammaestrandoci, ad esaltare ed elevare la razza bianca; dall'altra c'insegnavano a disprezzare e disistimare quella nera (lingua natia compresa), noi italo-somali (sicuramente perché ingenui) non abbiamo fatto niente per reagire a queste ostilità nei confronti dei somali e la conseguenza è stata la coniazione del nomignolo di "waceel o cyaal misiyooni" (leggasi in somalo) in parole povere "bastardo" e quando venimmo in Italia, il rifiuto degli italiani di considerarci uno di loro ci ha irritato e deluso, causando a molti di noi delle crisi d'identità.
Personalmente e categoricamente mi rifiuto di condannare la società somala per la sua cultura o perché patronimica, e tanto meno biasimo le nostre madri di averci mandato in collegio, per loro tale istituzione era una condizione di lusso, un "College" con tutti i comfort e, secondo il loro punto di vista, noi in quel luogo potevamo ottenere tre pasti quotidiani, un'istruzione assicurata, vestiti decenti e oltretutto piccoli privilegi quotidiani tipo il fare la doccia senza dover attingere l'acqua dall'asciun, anche se poverine ignoravano il modo in cui eravamo trattati.
La colpa non può nascere per la cultura di una società, l'errore proviene da chi ha voluto stravolgere questa società.
Il terzo mondo ha subito il colonialismo di molti paesi europei, le donne sono state le prime vittime nel mirino di quegli uomini e i figli ovviamente sono le conseguenze di tali soprusi. Solo in Somalia, Libia ed Eritrea, la legge italiana fascista non voleva che ci mischiassimo alla popolazione indigena ma non ci considerava neanche degli italiani, facendo modo e maniera di isolarci marchiandoci con la nomea di razza apolide, cosa che non è successa dalle altre parti.
"Gli altri", cioè i franco-camerunensi, gli anglo-kenyoti ecc.ecc. non negano la lingua materna, non disprezzano il luogo natio e sono fieri di appartenere all'Africa.
Molti di noi non parlano il somalo ciononostante siano nati e cresciuti in Somalia, questo perché disprezzavano lingua e razza, quando in realtà l'essere somalo fa parte del nostro DNA e a posteriori o a priori non si può certo rifiutare quello che si è fondamentalmente.
Tuttavia, sarebbe molto interessante scrivere un libro e con la raccolta delle nostre singole esperienze e testimonianze: di come siamo cresciuti, come siamo stati trattati da suore e preti ecc. sono certa, uscirà un best seller. Non va intitolato "bianco o nero", ci sono molti titoli interessanti da adottare, suggerisco semmai "Figli di progenie dissonanti" suona meglio e attira curiosità oppure chiedete in giro quale miglior titolo affibbiare.
A margine voglio rispondere anche a quanto scritto riguardo quei ragazzi che si sono dati all'alcool o che si sono suicidati, beh! a parte il carattere debole, la colpa non è tanto il rifiuto delle società di origine ma il ripudio di un suo simile, mi spiego meglio, chi fu riconosciuto come legittimo dal proprio padre adottava sdegnoso un comportamento snob nei confronti di un suo simile non riconosciuto, facendogli pesare e notare questa differenza.
Dei nostri, quelli che hanno avuto possibilità di una istruzione migliore, sdegnava in modo eccessivo quello che non potevano avere o fare altrettanto. Non esiste peggior cosa di ricevere rifiuti, o peggio ancora l'indifferenza o il disprezzo da parte di un tuo simile. Per cui molti dei nostri dovrebbero farsi un mea culpa.
Aiutarsi a vicenda, volersi bene è la miglior panacea per un'unione dello stesso ceppo, tante guerre sono state vinte per l'aggregamento di popoli che si amavano, aiutare non vuol dire necessariamente la parte economica, esiste l'aiuto morale e psichico, aiutate vostro fratello a rialzarsi incoraggiare a farsi forza, dedicate più tempo a chi è più sfortunato, fate a turno se necessario, non perdete tempo con stupidi pregiudizi, non state a chiedervi chi può assomigliare ad un mulatto e chi non, perché ricordatevi che agli occhi degli altri, noi siamo simili.
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Vi vorrei raccontare un episodio che mi ha cambiato la vita.
Un giorno passeggiando per piazza di Spagna entrai in un negozio che oltre a spacciare un misto di prodotti culinari vendeva anche libri stranieri, il mio sguardo si posò su uno di questi che aveva la scritta in inglese ed era intitolato "STRIVE FOR A BETTER LIFE", colpita da tale titolo mi precipitai ad acquistarlo. Non vedevo l'ora di sfogliarlo ma aspettai di arrivare a casa, una volta giunta mi misi a sfogliare leggendo pagina dopo pagina con un po' di difficoltà (all'epoca non avevo una conoscenza fluente dell'inglese - com'è attualmente - ma me la cavavo abbastanza bene), il libro non era altro che un manuale che dava un sacco di consigli su svariati settori, ma ci fu un paragrafo che mi colpì molto perciò mi armai di dizionario carta e penna e iniziai a tradurre il testo dall'inglese all'italiano, voi non avete idea di quanto furono d'aiuto quelle parole. Ve le ripropongo, chissà potreste farne un manifesto utile ad aiutare un nostro fratello, però lo dovrete tradurre da voi, nel paragrafo "a" la frase è un cliché ve la voglio sottolineare e se non la capite fatemela sapere, okay?
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a) Recollect from your childhood which humiliated you, and then 'laugh them out of court'. Why should you allow something which happened in infancy to continue to affect your adult life?
b) Accept yourself as a person of worth. Esteem yourself, value yourself. Rejoice in your own uniqueness, and because you are unique, remember that you can make a contribution to life which no one else can make.
c) Constantly remind yourself that you have a great untapped potential of ability.
d) Fill up any gaps in your general education.
e) Improve the quality of your voice and speech. Good speech enhances personality.
Finally you will be surprised, and your friends will be surprised as they see the new hidden YOU emerging.
But it was only what was to be expected!!!
Ora vivo a Londra e faccio l'interprete di professione, indovinate per chi? Per le due etnie che mi hanno messo al mondo vale a dire traduco per italiani e somali. Ovviamente sono compiaciuta e soddisfatta di conoscere ambedue le lingue, lodo me stessa di averne appreso una terza.
Morale della favola? Non tutto il male viene per nuocere, mi sento appagata essendomi presa una rivincita personale, negli occhi di un somalo leggo orgoglio e stima per me invece negli occhi dell'altro l'italiano leggo stupore e invidia.
Quando mi chiedono di dove sono, dico semplicemente che sono un italo-somala, quindi ben venga la corsia centrale e, se gli altri suonano dietro, li lascio fare, prima o poi la "batteria" si scaricherà.

Amina: Ciao, è da tanto che mi faccio questa domanda, e per una volta sono contenta di non pormerla da sola....Mi piacerebbe tanto sapere se fra voi ci sono persone come me - nate in Italia da padre somalo e madre italiana, creciute in Italia, cittadini Italiani....Ma che non si sono mai sentiti DAVVERO tali, non fino in fondo. Perchè? Perchè sono gli altri, gli italiani "doc", a non farti sentire tale. A chiederti ogni volta:"ma tu non sei italiana, vero?", con quella domanda che già da se include una risposta. Vorrei sapere se tra voi ci sono persone che, come me, si sono sentite "diverse", ed abbiano sofferto tremendamente per questo. Ma oggi, alla soglia dei 30 anni, sono orgogliosa di poter dire che amo la mia "diversità", che cerco di capirla, di conoscerla, che sento sempre più la necessità di scoprire l'altra parte di me, che sono certa non si limita solo alla sfumatura caffelatte della mia pelle e agli occhi così "africani". C'è qualcuno tra voi che capisce e vive quello di cui sto scrivendo? Spero tanto di si, per parlarne insieme...
Il dibattito è aperto, aspetto il vostro contributo, elaboriamo l'argomento in maniera approfondita, esauriente, analitica e anche personale se necessario. Farà parte di un libro che abbiamo intenzione di scrivere.

martedì 22 aprile 2008

AFIS, fu vera gloria?

Come già annunciato, il prossimo 1° Aprile dell'anno 2010 sarà il 60nnale della fine dell'AFIS. Per quella data abbiamo annunciato che c'è l'intenzione di preparare numerose iniziative. Perchè ciò? Per chi si fosse scordato, l'AFIS è un qualcosa di più che riguarda la nostra Comunità. E' lo spartiacque che aveva diviso la generazione dei meticci italosomali in quelli nati durante il colonialismo e le sue negative bestiali leggi razziali e quelli nati nel post colonialismo.
Sull'argomento c'è una analisi profonda da parte della nostra Comunità, che sta portando a galla documenti, atti, riscontri e fatti oggettivamente non negabili. L'AFIS è stato lo strumento che il gruppo dirigente ANCIS ha definito in un passaggio di una lettera Istituzionale in questi termini: "La violazione del mandato fiduciario dell’ONU in generale e dell’Accordo di Tutela in particolare; In Australia e in Norvegia sono in atto misure di risarcimento e tentativi di riconciliazione con le comunità violate; in l’Italia abbiamo solo i timidi tentativi del Comitato contro la Discriminazione e l’Antisemitismo limitati ad appurare i fatti che da anni denunciamo; nessuna ammissione né proposte di risarcimenti. In considerazione di ciò noi riteniamo che tale negligenza equivalga sostanzialmente alla continuazione della politica di annientamento iniziata in Somalia con l’AFIS verso la nostra comunità." Inoltre, "il Governo Italiano ha preso atto dei fatti gravissimi accaduti alla nostra comunità durante l’AFIS e delle altrettanto gravi conseguenza sulle nostre esistenze di quegli eventi attraverso l’indagine compiuta dal Comitato del Ministero dell'Interno, tuttavia ciò non è ritenuto sufficiente per adottare provvedimenti adeguati."
Queste poche righe hanno un significato accusatorio devastante per una Repubblica.
Quando una Comunità di poche centinaia di persone, arriva a scrivere alle autorità, e queste autorità hanno appurato la veridicità degli eventi denunciati come ATTI DI UNA POLITICA DI ANNIENTAMENTO l'oggetto del fatto non è più qualificabile con le solite parole: E' UMANAMENTE inconcepibile e inqualificabile.
E' grave l'accusa dell'ANCIS come è altretanto vera l'ammissione di queste gravità quando lo Stato italiano con un suo Comitato ed organo investigativo recita "siamo consapevoli della pecularietà dell'AFIS ed avendo approfondito le ragioni storiche e la disciplina giuridica, ben comprendendo che essa afferisce ed un epoca distinta rispetto al colonialismo.
Il trattamento discriminatorio lamentato dai componenti della Comunità italosomala INCIDE SUI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA, COME TALI NON SUSCETTIBILI DI PRESCRIZIONE E MERITEVOLI DI TUTELA INDIVIDUALE, SULLA PREMESSA DEL RICONOSCIMENTO STORICO DEL DRAMMA VISSUTO DALL'INTERA COMUNITA'.
Essere arrivati ad avere questa risposta ci sprona a lottare per arrivare alla verità totale e noi, Italosomali della generazione AFIS, consapevoli di non poter aiutare giuridicamente e fattivamente i nostri fratelli nati prima di noi, ma ciò non toglie - viste anche le loro sofferenze durante il fascismo e il colonialismo - che la nostra lotta è sopratutto rivolta a loro in segno di risarcimento morale (per quello ch'è il valore morale).
Il nostro "contenzioso" non ha rivalse vendicative, ma serve ad appurare una VERITA' storica negata dalla Repubblica italiana: il progrom della Comunità italosomala. Sapere la verità che molti di noi pudicamente tengono nei loro risvolti mentali serve inanzitutto a noi stessi. Non dobbiamo vergognarci di fatti di cui siamo vittime e non responsabili. Franca Gargiulo, nella prefazione del libro di Armando Norlatti "Alla ricerca del padre..., storia di un ragazzo italo-somalo", scrive che con l'Ancis e le interviste contenute nel sito ha avuto le risposte ai tanti perchè della sua adolescenza.
Per alcune domande, come ANCIS, abbiamo dato risposte. Il compito di Ancis e della comunità Italosomala è quello di avere tutte le risposte in modo tale di evitare il finale tragico scoperto da Franca, Anna e Margherita che erano andati a cercare Vincenzo Buso e lo hanno trovato sepolto anonimamente in un cimitero dei Castelli Romani, una triste realtà.
Precedentemente a questo triste epilogo stessa sorte era toccata a tanti altri fratelli:
Gaetano Pecora, Andrea Azzarini, Clavinini Giuseppe, Bonotti Vittorio, Coriciotti Giuseppe, Giustini Renato, Lambertini Vittorio, Mari Franco, forse Mari (Pensolini) Giorgio e tanti altri.
Tutto ciò è il risultato di un massacro attuato in maniera scientifica durante l'AFIS: un acculturamento forzato sulla religione, sulla diversità del colore, scelta dei cognomi, disconoscimento della lingua materna che in Somalia ci facevano ritenere di essere italiani e in Italia (per i più fragili una devastazione tragica) nel caso più benevolo ci fa scoprire di essere degli "extracomunitari". Un assimilazione perseguita per l'annientamento degli italosomali.
Comunque sia, quanto qui scritto, spero sia più utile alla nostra Comunità a recuperare la solidarietà fra noi, credere di più alle nostre forze e confidare e sapere che siamo veramente unici nella nostra "presunta" diversità. No, noi non siamo diversi dai somali e dagli italiani. Abbiamo un valore aggiunto che a loro tutti manca: siamo italosomali.
Non vorrei esaurire l'argomento, anche perchè siamo all'inizio di un percorso di tragica scoperta e, a tal proposito vi chiedo il vostro apporto, intervento per arrivare all'appuntamento del 60nnale con un bagaglio avente un regalo di molte risposte per la comunita italosomala.
Gianni Mari

lunedì 14 aprile 2008

Nasce italosomali blog


Da oggi nasce italosomali.blog. Uno spazio virtuale per scambiare le opinioni in libertà.

Diamo sfogo ai nostri pensieri e alla creatività, in ogni senso.
Questa blog è lo sforzo che stiamo cercando di aumentare l'efficienza del sito e delle sue potenzialità per rapportarci fra di noi specialmente e con gli altri.
Attendiamo un'adesione numerosa alla novità.