martedì 20 maggio 2008

Sud Africa. Le fiamme della vergogna.

Il Nobel per la pace Nelson Mandela, il leader della lotta contro l'apartheid, figura carismatica nel Paese, ha lanciato un appello: "Ricordate da quali orrori veniamo, non dimenticate mai la grandezza di un Paese che ha sconfitto le sue divisioni. Non ripiombiamo in una lotta distruttiva". A Città del Capo, al solito come capita da un po di tempo, è stata presa di mira la comunità somala che gestisce una gran quantità di piccoli commerci. I disperati del continente africano che negli ultimi mesi avevano cercato un rifugio nel più ricco Paese del continente a caccia di un lavoro o di fortuna cercano disperatamente di mettersi in salvo, 22 morti e 50 feriti a Johannesburg, all'inizio la polizia ha evitato di intervenire, ma quella che sembrava una delle tante risse tra poveri, presto si è trasformata in una rivolta a sfondo xenofobo e razziale e c'è un fugga generale degli emigranti dopo le violenze cominciate sabato. Tra i morti e i feriti ci sono uomini e donne dati alle fiamme, fatti a pezzi a colpi di machete, massacrati a bastonate, linciati con pietre e mattoni. Almeno 5/6 mila persone hanno cercato rifugio nelle chiese e nelle stazioni di polizia. Sono soprattutto cittadini del Malawi dello Zimbabwe, perseguitati dalla fame e minacciati dalla violenza politica, gente scappata da una crisi economica senza precedenti. L’ondata xenofoba non risparmia nessuno: nigeriani, congolesi, pachistani. Gli stranieri, come sempre accade (Ponticelli docet), sono accusati di deliquenza e di portar via gli affari, il lavoro. Fanno da capro espiatorio e scontano gli effetti della crisi sociale ed economica che ha colpito il Sudafrica dove la disoccupazione ha raggiunto il 30 per cento, il costo della vita è salito vertiginosamente, non si trovano case, la criminalità è aumentata in maniera esponenziale e il divario tra ricchi e poveri è diventato impressionante. Il presidente sudafricano Mbeki ha annunciato un’inchiesta «per capire cos’ha provocato l’ondata di violenza». Zuma, presidente del partito al potere, l'ANC e futuro candidato alla presidenza l’anno prossimo, è andato giù pesante con dichiarazioni che hanno marcato la distanza politica che separa i due uomini: «Dobbiamo vergognarci del nostro comportamento. Noi sudafricani durante l’apartheid abbiamo trovato rifugio in Paesi stranieri e siamo stati trattati benissimo. Chi scappa da condizioni disperate deve essere accolto con comprensione». Una stilettata a Mbeki. Il presidente sul problema dello Zimbabwe – Paese precipitato nel barato di una terribile crisi economica grazie al dittatore Robert Mugabe - ha sempre tenuto un atteggiamento conciliante, mentre Zuma ritiene che debba essere risolto al più presto perché destabilizza il mezzogiorno del continente. Il premio Nobel per la Pace, il vescovo Desmond Tutu, si è rivolto alla popolazione. "Vi prego", ha detto alla radio, "fermate subito queste violenze. Quelli che attaccate, che uccidete, che violentate, sono nostri fratelli e sorelle. Anche noi siamo stati aiutati da altri africani, abbiamo sofferto, sappiamo cosa significa fuggire dalla miseria. Noi stiamo uccidendo i loro bambini. Fermatevi, vi imploro: non possiamo disonorare le nostre conquiste. Stiamo di nuovo tornando agli anni delle catene e dei collari".

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